Domenica 26 Novembre 2013
Dal Vangelo secondo Matteo (Mt 25,31-46)
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:
«Quando il Figlio dell’uomo verrà nella sua gloria, e tutti gli angeli con lui, siederà sul trono della sua gloria. Davanti a lui verranno radunati tutti i popoli. Egli separerà gli uni dagli altri, come il pastore separa le pecore dalle capre, e porrà le pecore alla sua destra e le capre alla sinistra.
Allora il re dirà a quelli che saranno alla sua destra: “Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla creazione del mondo, perché ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere, ero straniero e mi avete accolto, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, ero in carcere e siete venuti a trovarmi”.
Allora i giusti gli risponderanno: “Signore, quando ti abbiamo visto affamato e ti abbiamo dato da mangiare, o assetato e ti abbiamo dato da bere? Quando mai ti abbiamo visto straniero e ti abbiamo accolto, o nudo e ti abbiamo vestito? Quando mai ti abbiamo visto malato o in carcere e siamo venuti a visitarti?”. E il re risponderà loro: “In verità io vi dico: tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me”.
Poi dirà anche a quelli che saranno alla sinistra: “Via, lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e per i suoi angeli, perché ho avuto fame e non mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e non mi avete dato da bere, ero straniero e non mi avete accolto, nudo e non mi avete vestito, malato e in carcere e non mi avete visitato”.
Anch’essi allora risponderanno: “Signore, quando ti abbiamo visto affamato o assetato o straniero o nudo o malato o in carcere, e non ti abbiamo servito?”. Allora egli risponderà loro: “In verità io vi dico: tutto quello che non avete fatto a uno solo di questi più piccoli, non l’avete fatto a me”.
E se ne andranno: questi al supplizio eterno, i giusti invece alla vita eterna».
MEDITAZIONE
Cristo Re e Redentore di tutti i popoli umani chiamati alla solidarietà
Il Vangelo di questa domenica è il discorso finale che Gesù fa prima di affrontare la sua passione, morte e resurrezione. È perciò un discorso di consegna che porta in se un carico di amore verso l’umanità e verso specialmente chi nell’umanità è ritenuto minimo, piccolo, miserabile. Cristo è Re dell’universo, verrà e siedera’ sul suo trono, con gli angeli e tutti i popoli radunati… Non è il re solo dei cristiani o dei cattolici, non è solo il re dei credenti, ma è Re e Redentore del mondo! Perciò tutti i popoli, anche coloro che non lo conoscono o non vogliono conoscerlo, verranno giudicati sul parametro della solidarietà. La solidarietà è un “bagaglio” in dotazione all’umanità credente: in Dio, in ogni dio o in nessun dio! Il giudizio di cui parla Gesù ha come parametro l’essere umani, cioè solidali e, questo, è una scelta di ciascun uomo e ciascuna donna. Non sarà un giudizio diretto: ma chi ha scelto di essere umano, cioè solidale, sarà benedetto e, chi invece starà nella scelta opposta, sarà maledetto! Ciascuno di noi constaterà il suo stato a dipesa delle scelte fatte nella storia umana sull’essere o no solidali.
Cristo Re del popolo di Cristiani chiamati alla Carità
Se il giudizio finale sarà su tutti i popoli di credenti in qualsiasi dio o non credenti, sulla solidarietà, sulla umanità, ancor di più questo Vangelo parla al cuore della Chiesa, cioè di tutti noi popolo dei battezzati in Cristo: siamo noi i primi riconoscibili nel mettere in opera la solidarietà che per i cristiani si chiama Carità! Il cristiano sa che Gesù ha dato come parametro di giudizio, non quanti fioretti o quante preghiere facciamo, ma ha dato come parametro di giudizio se stesso identificato con i miserabili, perché Lui stesso si è fatto miserabile, poco dopo: affamato, assetato, straniero, nudo, malato e carcerato nella sua passione, morte e resurrezione.
Il cristiano è l’uomo e la donna che si consuma nella carità, in questo servizio per l’altro – affamato, assetato, straniero, nudo, malato e carcerato – bisognoso di un altro perché nel prossimo, veda o non veda Cristo, sa che il suo prossimo porta una croce come l’ha portata Cristo! Servire il prossimo nella carità, nei tantissimi modi in cui la miseria umana è presente in tante persone della nostra vita (dai familiari a quelli che incontriamo per strada) è servire Cristo e perciò è ereditare il Regno di Dio. Il cristiano è colui che si mette sempre in gioco nell’operare la carità per l’altro, fino ad abnegare se stesso per amore, perché sa che l’amore e operativo per chi ne ha bisogno!
Cristo Re e fratello dei “crocefissi”
Se questo è l’ultimo discorso di Gesù che da’ come parametro di giudizio la solidarietà e la carità verso i sofferenti, il brano che apri i discorsi di Gesù è quello delle beatitudini: beati i minimi, i piccoli, i sofferenti… Ma perché beati i sofferenti? Perché il parametro della salvezza è l’aiuto del sofferente e portare la croce? Perché Cristo nella passione e nella crocifissione si è fatto sofferente e, siccome i fratelli si assomigliano, chi soffre è fratello e sorella a Cristo. Sulla croce, ciascuno di noi, diventa la porta del cielo, salvezza per se stesso e occasione di salvezza per l’altro nella carità! Il sofferente rende presente Cristo perché Cristo ha lasciato la sua immagine regale più eloquente e riconoscibile nel crocefisso! Perciò ogni volta vediamo un sofferente vediamo uno che è “fratello o sorella” di croce a Cristo! La sofferenza è come un sacramento che rende come Cristo, ecco perché se aiutate chi soffre, dice Gesù, aiutate me. In questo sta il Regno del crocefisso e risorto. Questo Regno è opposto unicamente al regno di Satana e alla “potestà delle tenebre”, e richiede dai suoi sudditi non solo l’animo distaccato dalle ricchezze e dalle cose terrene, la mitezza dei costumi, la fame e sete di giustizia, ma anche che essi rinneghino se stessi e prendano la loro croce. Avendo Cristo come Redentore costituita con il suo sangue la Chiesa, e come Sacerdote offrendo se stesso in perpetuo quale ostia di propiziazione per i peccati degli uomini, chi non vede che la regale dignità di Lui riveste il carattere spirituale dell’uno e dell’altro ufficio? (Pio XI, Quas primas)
Domenica 19 Novembre 2023
Dal vangelo secondo Matteo (Mt 25,14-30)
[ In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli questa parabola:
«Avverrà come a un uomo che, partendo per un viaggio, chiamò i suoi servi e consegnò loro i suoi beni. A uno diede cinque talenti, a un altro due, a un altro uno, secondo le capacità di ciascuno; poi partì. ]
Subito colui che aveva ricevuto cinque talenti andò a impiegarli, e ne guadagnò altri cinque. Così anche quello che ne aveva ricevuti due, ne guadagnò altri due. Colui invece che aveva ricevuto un solo talento, andò a fare una buca nel terreno e vi nascose il denaro del suo padrone.
[ Dopo molto tempo il padrone di quei servi tornò e volle regolare i conti con loro.
Si presentò colui che aveva ricevuto cinque talenti e ne portò altri cinque, dicendo: “Signore, mi hai consegnato cinque talenti; ecco, ne ho guadagnati altri cinque”. “Bene, servo buono e fedele – gli disse il suo padrone –, sei stato fedele nel poco, ti darò potere su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone”. ]
Si presentò poi colui che aveva ricevuto due talenti e disse: “Signore, mi hai consegnato due talenti; ecco, ne ho guadagnati altri due”. “Bene, servo buono e fedele – gli disse il suo padrone –, sei stato fedele nel poco, ti darò potere su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone”.
Si presentò infine anche colui che aveva ricevuto un solo talento e disse: “Signore, so che sei un uomo duro, che mieti dove non hai seminato e raccogli dove non hai sparso. Ho avuto paura e sono andato a nascondere il tuo talento sotto terra: ecco ciò che è tuo”.
Il padrone gli rispose: “Servo malvagio e pigro, tu sapevi che mieto dove non ho seminato e raccolgo dove non ho sparso; avresti dovuto affidare il mio denaro ai banchieri e così, ritornando, avrei ritirato il mio con l’interesse. Toglietegli dunque il talento, e datelo a chi ha i dieci talenti. Perché a chiunque ha, verrà dato e sarà nell’abbondanza; ma a chi non ha, verrà tolto anche quello che ha. E il servo inutile gettatelo fuori nelle tenebre; là sarà pianto e stridore di denti”».
MEDITAZIONE
L’immagine di Dio
Chiaramente il padrone della parabola rappresenta Dio. Lui ci ha consegnato i suoi beni. Ma quali sono i suoi beni? Cosa Dio ci ha consegnato e ci consegna? Il “talento”, ciò che ci ha consegnato, è qualcosa che non è decifrabile o quantizzabile ma è veicolo dell’atto di fiducia alla buona volontà dell’uomo. Il talento più grande comunque sembra essere come una medaglia a due facce: la vita e la vitalità… Questi servi buoni e fedeli sembrano essere il miglior rapporto che possiamo avere con Dio: bontà e fedeltà! La parabola comunque ha ben chiaro che l’uomo è destinatario della gioia del suo Dio, come i servi buoni e fedeli diventano destinatari della gioia del loro padrone. Quindi essere buoni e fedeli a Dio significa partecipare alla gioia di Dio: Dio è il Dio della gioia, è la gioia stabile, vera! Quanto Dio ci dona va riconosciuto ma, ancor di più, va fatto fruttificare… L’uomo di Dio, buono e fedele, è quello che fa “girare” i doni di Dio, li moltiplica, non si chiude, è aperto e attivo nei rapporti; in continuo discernimento e conversione… L’ultimo servo della parabola, quello che aveva nascosto il talento sotto terra è colui che ha una immagine errata del padrone: avere una immagine sbagliata di Dio. Quanto è facile farci un Dio a propria immagine e somiglianza o ancor peggio, farsi un idea completamente sbagliata su Dio! Egli non è duro e non mette paura, non è giustiziere e calcolatore; se uno pensa Dio sia così, è come il servo della parabola: malvagio e pigro. Il Dio che ne esce a fine parabola è comunque un Dio che vuole la gioia dei suo fedeli, quella Sua, quella vera, quella eterna. Dio comunque ce lo immaginiamo è un Dio – come il padrone della parabola – esigente.
Cristo ci ha lasciato lo Spirito santo
In realtà, l’uomo che partì per un viaggio che è protagonista “assente” nella prima parte della parabola: è il Cristo. Lui, vero Dio e vero uomo, è venuto a dare il “talento”, lo Spirito santo al mondo donando la sua eredità della vita eterna! La parabola ha tre tempi: passato, presente e futuro. L’uomo Gesù Cristo consegnò all’umanità il “talento”: cosa ci ha lasciato in consegna Gesù Cristo? Ci ha lasciato lo Spirito santo presente nei Sacramenti della Chiesa che siamo chiamati a far fruttificare… Morì in croce per noi, ci lasciò il testamento d’amore che è nello Spirito santo donato a Pentecoste: quanto è profondo e inesplicabile ciò che ha lasciato il Cristo all’umanità! Fate questo in memoria di me… Il presente, che vede la sua “assenza” ma presenza nei “talenti” che ci ha lasciato, è la nostra cristianizzazione, il portare questa buona novella! Il cristianesimo va fatto girare come esperienza di vita per partecipare alla sua gioia d’amore che sarà perfetta nel Regno di Dio. Lui tornerà nel futuro, quando non lo sappiamo: prenderemo parte alla sua gioia che è eterna e non si corrompe. Davanti a Lui verremo giudicati solo su un “talento”: verremo giudicati sull’amore!
I doni dello Spirito
La Chiesa quindi è comunità innanzitutto di partecipazione alla sua gioia. E’ far fruttificare i doni che lo Spirito santo ci ha lasciato, intendendo i “talenti” non tanto in senso artistico quanto invece – secondo le nostre caratteristiche – alla missione che singolarmente hi ha affidato. Nella Chiesa siamo chiamati a far fruttificare la nostra vocazione e i nostri carismi: tutti ne abbiamo almeno uno… La comunità è il luogo dove vincere la malvagità e la pigrizia. Quanta pigrizia spesso abbiamo noi fedeli! Quanta malvagità! Ogni qual volta emerge il nostro essere malvagio e pigro, sotterriamo i doni dello Spirito santo, sotterriamo questi doni vivi e vitali che danno vitalità e gioia. La vera gioia, quella divina: non è nell’ordine delle emozioni, che passano tornano o più non ritornano, quanto invece un sentimento stabile che passa attraverso i rischi ed i sacrifici dell’andare ed impiegare. Perciò l’uomo e la donna di chiesa sono buoni e fedeli, in continuo movimento ma che anche sanno fermarsi: si muovono impegnando il talento per poi aspettare che fruttifichi. Sembra che la regola di san Benedetto “ora et labora”, prega ed opera , sia veramente il fulcro della vita della Chiesa, il modo di vivere di ogni cristiano. Per questo siamo stati creati e per questo Cristo venne nel mondo e ritornerà. Non dobbiamo nascondere ciò che è produttivo: l’amore viene sempre dalla preghiera e dall’operatività! Vivacità, efficienza e abilità ad istruire sono tre caratteristiche che il cristiano porta con se perché talenti lasciatici da Cristo. Non perdiamoci nella malvagità delle chiacchiere e delle divisioni, né lasciamoci andare alla pigrizia fatta di vittimismi e di apatia soltanto perché il Dio di Gesù Cristo sembra assente… In realtà ci ha lasciato i talenti segno tangibile e moltiplicabile della presenza di Dio. Far fruttificare i talenti significa allora far fruttificare la Presenza di Dio, non sotterrare questa presenza viva! Scoprire che Dio è presente nei talenti da far fruttificare, significa veramente partecipare alla sua gioia, che forse non conosciamo o conosciamo poco… Sotterrare la Presenza di Dio – con tutto ciò che comporta la parola Dio nella nostra vita – significa già da qui vivere il pianto e lo stridore di denti quando ci succede qualcosa che ci fa perdere l’orientamento, il senso della vita e ci fa entrare nell’angoscia… La gioia divina è tutt’altra rispetto a quella umana che possiamo, nella nostra pochezza, intuire o partecipare! Per Dio siamo chiamati a rischiare – come i servi buoni e fedeli – con creatività ed impegno.
Vivere la vita…
Vivere la vita con il coraggio di far fruttare il “talento” della fede, oppure vivere la vita nella paura di perdere tempo con Dio? Vivere la vita – a proposito – assolutizzando le paure, oppure viverla nella libertà dei figli di Dio? Vivere la vita con la paura della morte che terrorizza, oppure vivere la vita con una naturale paura di morire con la speranza certa della resurrezione? Alla fine la domanda essenziale è doppia ed è questa: vivere la vita in pienezza oppure no? Vivere la vita veramente facendo fruttificare tutte le nostre facoltà (talenti) oppure viverla in superficialità? Questo Vangelo ci esorta, ci sprona a vivere la vita in pienezza, ha scoprire la fede come pienezza, a non sotterrare quanto abbiamo perché, in questa vita, niente e nessuno è per sempre. Anche se il nostro prossimo, la nostra amicizia, la nostra parentela vale poco o vale quanto vale: siamo chiamati a vivere i rapporti interpersonali guardando all’altro come un valore nella nostra vita… Guardare a ciò che abbiamo e dargli la giusta preziosità perché, questo o quello, fanno parte della mia vita e sono chiamato a vivere in pienezza. Non sotterriamo il “talento” per vivere in pienezza! Il talento è qualsiasi persona o qualsiasi cosa che ci è stata donata dalla vita, che ci è stata donata da Dio: sotterrarla sarebbe un vero peccato perché tutti i nostri talenti, se fatti fruttificare: servono per farci vivere in pienezza. La vita, alla fine, ci verrà a chiedere conto proprio se la abbiamo vissuta in pienezza con tutti i suoi agi e disagi, con tutte le sue gioie e tristezze, con tutti coloro che ci sono capitati affianco o che abbiamo scelto affianco a noi: non sotterriamo la vita, non sotterriamo il Spirito!
Domenica 12 Novembre 2023
Dal vangelo secondo Matteo (Mt 25,1-13)
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli questa parabola:
«Il regno dei cieli sarà simile a dieci vergini che presero le loro lampade e uscirono incontro allo sposo. Cinque di esse erano stolte e cinque sagge; le stolte presero le loro lampade, ma non presero con sé l’olio; le sagge invece, insieme alle loro lampade, presero anche l’olio in piccoli vasi. Poiché lo sposo tardava, si assopirono tutte e si addormentarono.
A mezzanotte si alzò un grido: “Ecco lo sposo! Andategli incontro!”. Allora tutte quelle vergini si destarono e prepararono le loro lampade. Le stolte dissero alle sagge: “Dateci un po’ del vostro olio, perché le nostre lampade si spengono”. Le sagge risposero: “No, perché non venga a mancare a noi e a voi; andate piuttosto dai venditori e compratevene”.
Ora, mentre quelle andavano a comprare l’olio, arrivò lo sposo e le vergini che erano pronte entrarono con lui alle nozze, e la porta fu chiusa. Più tardi arrivarono anche le altre vergini e incominciarono a dire: “Signore, signore, aprici!”. Ma egli rispose: “In verità io vi dico: non vi conosco”.
Vegliate dunque, perché non sapete né il giorno né l’ora».
MEDITAZIONE
La fede: rapporto di amore
Questa parabola è per i discepoli di Gesù: per chi, con difficoltà o con facilità, ha deciso di seguirlo. E’ una parabola che descrive il rapporto “sognato” da Dio tra Cristo e l’umanità, tra Gesù e te. E’ un rapporto, quello tra Dio e l’umanità, quello tra Cristo e la Chiesa, quello tra lo Spirito santo e ciascuno di noi che è fatto di: attesa e incontro. E’ un rapporto inedito che Gesù annuncia non in conformità con l’Antico Testamento, è appunto un rapporto di amore. Gesù chiama l’umanità ad avere un rapporto di amore con Lui: l’incontro tra Dio e l’umanità trova la più alta definizione nella festa di nozze, quindi è un rapporto di amore. Questa cerimonia delle vergini, che accompagnano lo sposo con questa staffetta di lampade nella casa dove si terrà la festa di nozze, nella parabola: omette la presenza della sposa; come se la sposa fosse ciascuna di quelle ragazze o i familiari ed amici che aspettano lo sposo. E’ un rapporto di amore, quello tra Dio e l’umanità, quello a cui ci chiama il Signore, sì con il suo romanticismo, ma comunque un rapporto personale tra ciascuno di noi e Lui, ma è anche rapporto che riguarda la comunità: la Chiesa infatti è la sposa! Il rapporto con Dio è allora un rapporto personalissimo di amore con Lui, ma anche comunitario: un rapporto che richiede la conoscenza di Dio e dei nostri fratelli e sorelle. La conoscenza, in senso biblico, è atto di amore e, perciò, la comunità cristiana, sposa di Cristo, è destinataria dell’amore di Dio da condividere con i fratelli e le sorelle. Chi lo comprende e lo vive gioisce con il salmista: ecco quanto è buono e quanto è soave che i fratelli vivano insieme. (Sal 132). Questa conoscenza, il vangelo, la chiama: saggezza o anche sapienza. La sapienza è splendida e non sfiorisce, facilmente si lascia vedere da coloro che la amano e si lascia trovare da quelli che la cercano (Sap 6,12); quindi la sapienza, la saggezza e, cioè, una fede adulta che ci completa come l’amore sponsale: è una ricerca continua della Presenza di Dio. L’amore comunitario, che spesso sembra utopico, è più facile da provare che l’amore di Dio che non è per nulla scontato da sentire. Lo sposo che tarda rappresenta proprio questa conoscenza che la nostra umanità ha di Cristo, ma anche la sua assenza come di Colui che sta per tornare. Il Regno di Dio è venuto già con l’incarnazione del Verbo di Dio, viene sempre con la presenza del suo Spirito santo in noi e tornerà alla fine dei tempi; quando verrà? Non si sa, nonostante le continue assillanti apocalittiche profezie che sono diventate una moda mediatica, che ogni giorno, editano la fine dei tempi; Gesù lo ha già chiarito una volte per tutte: quanto però a quel giorno o a quell’ora, nessuno lo sa, ne gli angeli nel cielo ne il Figlio, eccetto il Padre (Mt 13,32). Sappiamo solo una cosa: non ignoriamolo, non ignoriamo Dio, il Suo amore, la sua Misericordia, la Sua venuta, la Sua Presenza!
L’amore atteso
Siamo come quelle vergini che sono in attesa e portano la lampada della fede per illuminare il Cristo che viene e verrà. E, quando viene e, Lui viene, anche durante il nostro quotidiano in tanti modi: ci troverà con la lampada della fede accesa come le vergini sagge e non come le stolte? A proposito: Perché questa cafoneria delle vergini sagge nel non aiutare le altre cedendogli un pò del loro olio? Il buonismo attuale ci spingerebbe a dire: sarebbe stato più cristiano che le sagge aiutassero le stolte… Invece no, le prime sono molto dure con le altre, quasi schernendole verbalmente: no… andate piuttosto dai venditori e compratevene. Queste fanno anche l’errore di andarsene a comprare l’olio, così tornate, lo sposo ormai arrivato, trovano la porta chiusa e la brutta risposta dello sposo: non vi conosco. Le sagge negano l’olio alle stolte perché è necessario solo attendere lo sposo con le lampade accese; si fidano che l’olio che hanno nelle lampade e quello da parte, in piccoli vasi, gli basterà per l’arrivo, anche se non sanno l’ora dell’arrivo. In questa attesa, la loro speranza, si fa certezza che lo sposo arriverà prima che tutto l’olio sia terminato: la fede, nel tempo dell’attesa che il Signore si manifesti, è tanta quanto basta per accoglierlo. Le sagge non aiutano le stolte perché centro di tutto è l’importanza dello sposo; anche se il Cristo non lo vediamo siamo chiamati a tenere accesa la lampada della fede come queste vergini sagge che vivevano l’attesa solo ed esclusivamente in funzione dell’arrivo dello sposo. E’ interessante come lo sposo arrivi proprio nel mezzo della notte, proprio quando le tenebre avvolgono tutto e c’è solo torpore e senso di smarrimento… Il momento della prova e delle tenebre è quello preferito dal Signore per venirci incontro! Si addormentano sia le sagge che le stolte: nelle tenebre del peccato e del dolore, non possiamo che “addormentare” la nostra fede, è alquanto normale quanto però importante è restare vigili anche nel sonno con la lampada accesa. L’olio delle lampade è tutto ciò che alimenta la nostra fede e, sappiamo bene, cosa alimenta la nostra fede. Conosciamo bene cosa tiene accesa quella fiamma della nostra fede che fu accesa nel giorno del nostro Battesimo. Vivere con questa scorta di “olio” per la fede non significa altro che sopravvivere alla “notte”, fidandoci che nelle anche lunghe notti della nostra vita: il Signore viene! Questo “olio” che alimenta la nostra fede è personalissimo, non possiamo darlo agli altri, funziona solo nelle “nostre lampade”, tuttalpiù possiamo testimoniare e dire agli altri di procurarselo; ma neanche si può comprare. Anche se la nostra fede “dorme”, non è morta: continuiamo a fare le opere della fede. L’amore di Cristo è l’amore atteso, l’amore di cui abbiamo bisogno e, arriva, proprio nel momento delle tenebre. Una voce fuori campo, una parola di un “guardiano” della notte grida: ecco lo sposo andategli incontro! Alzarsi significa risorgere oggi, domani e alla fine dei tempi, alzarsi e andare incontro a Cristo per accompagnarlo in questo festoso corteo dell’amore. Non ignoriamo il grido della Parola di Dio!
Il tempo dell’incontro con Cristo
L’incontro con Cristo è come l’incontro con lo sposo: è un incontro di amore. Ognuna delle vergini con la lampada è li per accogliere lo sposo, ciascuna di loro è li in funzione del suo arrivo. Quando si ama si vive in funzione dell’amato o dell’amata, meglio ancora è vivere in funzione dell’Amore vero! Certamente l’amore per Cristo è un amore particolare, meglio ancora: unico. Avere fede significa vivere in funzione di questo amore per Lui e, perciò, siamo chiamati ad una conoscenza sempre più progressiva di Lui proprio per la peculiarità di questo amore che si chiama fede. La fede è fatta di attesa della manifestazione di Cristo risorto ma anche di incontro: Lui si manifesta nella nostra vita quotidiana, sta a noi tenere lo sguardo vigile e il cuore pronto a questo incontro. La porta della Sua vita divina, come la porta della casa delle nozze della parabola, è aperta per noi, per entrare nel luogo della Sua intimità divina. L’incontro con Cristo cambia e da senso alla vita. Incontrarsi con qualcuno, aprire una relazione – questo vale anche con Cristo – richiede che “facciamo i conti” con il nostro tempo: non possiamo piegare l’altro alle nostre esigenze, ai nostri tempi. Le vergini stolte erano schiave del loro tempo, dei loro progetti perché non si aspettavano che lo sposo tardasse. Hanno preso l’olio secondo i loro calcoli e, per l’incontro con l’amore, per l’incontro con Cristo, non si può arrivare con l’olio – cioè con il tempo – ristretto. L’incontro con Cristo è un incontro di amore, cioè ci spinge, per entrare nel cuore di queste “nozze”, a mettere da parte i nostri tempi ristretti, a mettere da parte i nostri progetti perché, l’Amore, stravolge tutto. Il “pieno” di olio che fanno le vergini sagge è come di chi fa un viaggio di imprevedibilità, senza calcoli, senza ragionamenti, si lascia andare alla strada. Trovare tempo per la relazione con Cristo significa allora fare la scorta di tempo, non relegarlo ai nostri programmi, alla nostra agenda: siamo chiamati ad entrare nel tempo di Dio.
Domenica 5 Novembre 2023
Dal vangelo secondo Matteo (Mt 23,1-12)
In quel tempo, Gesù si rivolse alla folla e ai suoi discepoli dicendo:
«Sulla cattedra di Mosè si sono seduti gli scribi e i farisei. Praticate e osservate tutto ciò che vi dicono, ma non agite secondo le loro opere, perché essi dicono e non fanno. Legano infatti fardelli pesanti e difficili da portare e li pongono sulle spalle della gente, ma essi non vogliono muoverli neppure con un dito.
Tutte le loro opere le fanno per essere ammirati dalla gente: allargano i loro filattèri e allungano le frange; si compiacciono dei posti d’onore nei banchetti, dei primi seggi nelle sinagoghe, dei saluti nelle piazze, come anche di essere chiamati “rabbì” dalla gente.
Ma voi non fatevi chiamare “rabbì”, perché uno solo è il vostro Maestro e voi siete tutti fratelli. E non chiamate “padre” nessuno di voi sulla terra, perché uno solo è il Padre vostro, quello celeste. E non fatevi chiamare “guide”, perché uno solo è la vostra Guida, il Cristo.
Chi tra voi è più grande, sarà vostro servo; chi invece si esalterà, sarà umiliato e chi si umilierà sarà esaltato».
MEDITAZIONE
Usurpazione
Il Vangelo comincia con delle parole molto forti di Gesù verso le guide religiose ed i sacerdoti, una denuncia pesante: una usurpazione della cattedra di Mosè. La cattedra è il luogo da cui insegna il Maestro ed appartiene solo all’unico Maestro, il nuovo “Mosè”, cioè: il Cristo! Questa usurpazione del potere di insegnare e discernere in nome di Dio: appartiene al Vecchio Testamento, al nuovo testamento ma, anche, è un male che affligge la Chiesa dal suo nascere fino ad oggi. Il cristianesimo nascente era una cosa bella, qualcosa che attirava e affascinava, tanto che la prima forma di missione era per attrazione: tanta gente – ebrei e pagani – si convertivano al cristianesimo per la gioia propria di un popolo fratelli e sorelle liberati dalla morte e resurrezione di Cristo. Se oggi siamo pochi, oltre che per le caratteristiche sociali del mondo, dobbiamo porci la domanda: cosa non funziona più e cosa non ha funzionato secondo il Vangelo? Anzi, spesso, chi ha delle responsabilità nella Chiesa, si sente più importante facendo pesare il suo potere sugli altri e presentando una Chiesa antipatica che allontana invece di avvicinare. Risulti antipatico o antipatica tu che hai responsabilità nella Chiesa? Chiediti perché e, cambia, perché cosi allontani da Cristo: sei solo un fratello o una sorella come tutte le altre. La gerarchia della Chiesa non è di potere, ma di servizio nella fraternità; non siamo, con tutto il rispetto: una Royal family, ne una caserma militare, ne un “partito” od una istituzione politica, ne dei saggi maestri detentori di verità e “poteri” spirituali, ne tanto meno degli eletti sugli – sopra gli altri a detenere un servizio. Il servizio non si detiene, è una missione che va portato avanti con umiltà e credibilità. Noi uomini o donne di Chiesa spesso scivoliamo in questa illusione e paura che qualcuno venga a toglierci il “seggio” da sotto il sedere! Scivoliamo da un seggio che credevamo di avere sotto le natiche ma, che, non abbiamo mai avuto. Il nostro posto non è su di un seggio: in piedi accanto alla cattedra di Gesù Cristo, per portare da servi il suo messaggio e la sua presenza. Quando abbiamo bisogno di difendere il nostro “potere” – e neanche ce ne accorgiamo – anche meritevole di azioni di opere buone, c’è il pericolo che stiamo usurpando, senza che ce ne accorgiamo, una cattedra che non è la nostra, anche se, pensavamo: fosse nostra… Quando siamo costretti a identificarci dicendo: ma guarda che io sono questo, io sono quello; stiamo difendendo il nostro potere che mi dispiace, è inesistente! L’unica potestà è quella di Cristo! Diversamente andremmo a rotoli noi, risultando antipatici e, peggio ancora, diventando inciampo per la fede di altri e della comunità. Già il profeta Malachia lo aveva detto nell’Antico Testamento: Voi invece avete deviato dalla retta via e siete stati d’inciampo a molti con il vostro insegnamento; avete distrutto l’alleanza di Levi, dice il Signore degli eserciti. Perciò anche io vi ho reso spregevoli e abietti davanti a tutto il popolo, perché non avete seguito le mie vie e avete usato parzialità nel vostro insegnamento. Non abbiamo forse tutti noi un solo padre? Così questa usurpazione, che spesso avviene inconsapevolmente e nel modo più silente e nascosto, diventa un ostacolo alla vita di fede del prossimo ed un ostacolo alla unità della comunità. Non abbiamo forse tutti noi un solo padre? Quanto era bella la Chiesa, anche se questa piaga dell’usurpazione di cattedra già un po esisteva, dove gli apostoli e tutti gli altri, consacrati e non, vivevano il loro “essere e fare” in comunità come fratelli e sorelle: senza sentirsi maestro, padre o guida di inciampo! Chi ha questo ministero lo ha secondo questa parola: servizio, al fratello sapendo che ad “esserlo” è di Dio! I ministeri nella prima Chiesa venivano vissuti cosi. Nella Chiesa può insegnare non facendosi chiamare maestro, solo in nome di Cristo, se si riceve un insegnamento; nella Chiesa si può avere una paternità o maternità spirituale solo in Cristo per chi si fa figlio, figlia, fratello e sorella; nella Chiesa uno od una può guidare in Cristo, solo se è guidato o guidata… Non abbiamo forse tutti noi un solo padre? Chi ha un ministero nella Chiesa lo faccia con lo Spirito delle parole di San Paolo: siamo stati amorevoli in mezzo a voi, come una madre che ha cura dei propri figli. Così, affezionati a voi, avremmo desiderato trasmettervi non solo il vangelo di Dio, ma la nostra stessa vita, perché ci siete diventati cari.
Fardelli
Le regole dei capi religiosi del tempo di Gesù, erano davvero tante, erano un accumulo di leggi provenienti dall’antica alleanza, diventati insostenibili per tutti, anche per loro. Ma loro stessi, non mancavano di predicarle nonostante non riuscissero a seguirle, non mancavano di giudicare nonostante anche loro non le mettessero in pratica. Precetti morali, leggi rituali, regole di vita imposte da una religiosità che si è appesantita nel tempo fino a diventare un pesante fardello. Ci accorgiamo con coraggiosa umiltà che anche la Chiesa, nel tempo, ha ereditato un patrimonio di regole che, messe una sopra l’altra, sono diventate un pesante fardello da portare. Nonostante ammettiamo di essere tutti peccatori: abbiamo ancora in noi quel moralismo e quel senso di giudizio verso chi “non gliela fa” a portare i fardelli; peggio ancora: abbiamo figure nella Chiesa di persone che espongono temi e fanno discernimento sul prossimo commettendo gli stessi peccati, se non peggio, di quelli degli altri. Non ergiamoci a fare i maestri e il discernimento agli altri presumendo di correggerli se siamo noi attivi proprio sull’errore su cui richiamiamo all’ordine. Una volta ho sentito un sacerdote predicare una cosa che, all’inizio, mi è sembrata strana ma, poi, ho finito per ripensarci su più volte e condividere questo suo pensiero. Una persona cattiva può diventare meglio di una persona buona… Si, perché, la persona buona: ti guarda con giudizio di discernimento, ti esorta a cambiare atteggiamento e comportamento solo perché non ha fatto quel tuo peccato; invece la persona cattiva ti diventa fratello e condivide con te il peccato e la contrizione per ciò che ha fatto. Chi è di miglior aiuto se non la persona che è uscita da delle dipendenze – alcool, droga, ecc… – per farne uscire uno che ha dipendenze? Gesù, in questa pagina di vangelo, presenta una religiosità nuova che però, è, più antica di quella che era vigente. Egli si è scagliato verso una religiosità che misura l’umanità a suon di regole, ritualismi e precetti. Gesù non era un anarchico, uno allergico alle regole, non è venuto ad abolire la legge ed i profeti, ma a darne il compimento, cioè il giusto obiettivo nell’amore. Chi crede di essere libero, di aver conquistato una certa liberta, spesso lo crede perché è, o si stente libero, di fare questo o quello… Gesù non è venuto a portare una liberazione per farti sentire “libero di”, ma libero da… La libertà del cristiani non è quella di sentirci liberi di fare quello che vogliamo, ma liberi da ciò che ci opprime, dai fardelli che ci imponiamo come persone e, spesso, come Chiesa.
Liberi da…
Quando la nostra fede, ma questo vale anche per tutta la nostra vita, diventa fissata per farsi ammirare dagli altri: diventiamo schiavi di noi stessi e del giudizio del prossimo. Oggi più di allora, siamo attanagliati da ciò che pensano gli altri, dal loro giudizio, dalla loro sentenza mediatica. Sì, il giudizio da male ma, non toglie a niente a noi se non soltanto la nostra “reputazione”. E tu vali la tua reputazione? Vali per come gli altri ti considerano? Oppure vali molto di più o molto di meno? Non abbiate paura di coloro che uccidono il corpo ma poi non hanno il potere di uccidere l’anima – dice Gesù in un altro passo del vangelo per liberarci dal luogo comune che la nostra felicità dipende dal nostro miglior o peggior prossimo, che la nostra vita vale quanto e come gli altri la misurano! Ciascuno di noi ha un valore, ma questo valore che abbiamo non aumenta o diminuisce da come o quanto noi ci mostriamo… Il nostro valore non riusciamo a darcelo anche da noi stessi, perché noi valiamo: la morte di Cristo in croce e la sua resurrezione. Cristo non è stato libero di morire, è stato venduto e imprigionato, ma è stato liberato dalla morte, risorgendo! Tutto questo richiede l’umiltà. L’ultima frase del vangelo è la vittoria del vangelo stesso, è la vittoria di Cristo, è la vittoria della Chiesa, è anche la vittoria per ciascuno di noi: Chi tra voi è più grande, sarà vostro servo; chi invece si esalterà, sarà umiliato e chi si umilierà sarà esaltato». Questa frase porta in se una tra le parole più importanti del vangelo di Gesù Cristo: l’umiltà!
Ognissanti 2023
Dal vangelo secondo Matteo (Mt 5,1-12a)
In quel tempo, vedendo le folle, Gesù salì sul monte: si pose a sedere e si avvicinarono a lui i suoi discepoli. Si mise a parlare e insegnava loro dicendo:
«Beati i poveri in spirito,
perché di essi è il regno dei cieli.
Beati quelli che sono nel pianto,
perché saranno consolati.
Beati i miti,
perché avranno in eredità la terra.
Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia,
perché saranno saziati.
Beati i misericordiosi,
perché troveranno misericordia.
Beati i puri di cuore,
perché vedranno Dio.
Beati gli operatori di pace,
perché saranno chiamati figli di Dio.
Beati i perseguitati per la giustizia,
perché di essi è il regno dei cieli.
Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia. Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli».
MEDITAZIONE
Il popolo dei santi in cammino
La solennità di ognissanti ci pone davanti una folla di persone, un popolo di gente che segue ed ha seguito Gesù. Il Vangelo ci narra delle folle che vanno ad ascoltarlo, l’apocalisse ci parla di una moltitudine immensa che è alla presenza di Dio elevando la preghiera e l’adorazione. Questa gente è una folla biblica che simboleggia la folla di persone – canonizzate ufficialmente dalla Chiesa e non – che oggi ricordiamo come modelli e intercessori; i santi, persone che hanno seguito Gesù nonostante il peccato e le resistenze della vita. Una folla di persone, come un coro fatto di voci diverse ma che, armonicamente, prega e attira il mondo verso Cristo! I santi, gente come noi, persone: padri e madri di famiglia, preti e vescovi, consacrati, suore e frati, monaci e monache, solitari e estroversi, poveri e ricchi, plebei e re, popolani e nobili, forti e deboli, malati e sani, giovani e vecchi, di ogni tempo, di tutti i tempi che ci insegnano, in ogni modo, qual è la risposta alla domanda di tutta l’umanità in cammino: dov’è la felicità? Dove trovarla? Cosa è veramente? I santi: cercatori del senso della vita e cercatori di felicità. Ce ne vengono in mente davvero tanti… Ce ne sono molti conosciuti, altri più sconosciuti… Gente tra le folle e negli eremi, persone attive nella carità e altre chiuse in chiesa o in un confessionale, chiusi in cucina, in un luogo di lavoro, oppure mischiati tra la gente, morti violentemente per la fede o transitati beatamente nel Regno dei cieli… Pensati tutti insieme davanti al trono di Dio: fanno un coro che loda il Signore morto e risorto e, la loro lode, si fa intercessione per noi. Beati loro! Beati loro perché sono un popolo che ha fatto un esodo, un passaggio, un cammino, un transito interiore, dentro loro stessi, nel loro cuore e si sono messi in viaggio per il loro mondo per fare la cosa per cui tutti siamo stati creati, la cosa che dona il senso alla nostra vita, la cosa che ci dona la felicità: contemplare l’opera di amore di Cristo, testimoniarla e viverla. Noi battezzati già facciamo parte di questo popolo, di quella gente che chiamiamo “i santi”, in virtù del nostro battesimo! Ci manca il coraggio di cominciare a fare questo esodo interiore, cammino personalissimo ma di popolo, che ci porta alla beatitudine, alla vera gioia. Chiediamo a tutti loro, chiediamo a tutti i santi: di darci il coraggio di fare questo cammino interiore, più reale di tante strade che percorriamo nel nostro mondo, ma sono strade che portano a una felicità ideale, non duratura, a volte sono strade chiuse che ci lasciano scontenti ed infelici. I santi, dal loro scanno della beatitudine del paradiso ci sussurrano alcune domande: Verso dove vai? Che strada hai intrapreso per essere felice? Sei sicuro, sei sicura che sia la strada, quella giusta? Perché non prendere coraggio, perché non affrontare la paura di fare sul serio con Dio, e metterci in cammino dentro di noi per scoprire che siamo chiamati a passare, come nell’Esodo, attraverso un “mare” interiore e i “deserti” della nostra anima, ma tante oasi anche, affinché arriviamo alla “Terra promessa” della beatitudine?
Fermati e ammira l’opera di Cristo!
Cosa hanno capito i santi nel loro esodo interiore? Come hanno fatto ad intraprendere la strada che porta davanti al trono di Dio? Come hanno fatto a bearsi nonostante spesso hanno affrontato difficoltà, resistenze, dolori, persecuzioni e tanta solitudine? Come avete fatto, santi beati e benedetti, ad incontrare Gesù Cristo? Come avete interpretato le folle del Vangelo che si sono messe sotto al monte per ascoltare il Signore? Come avete fatto ad arrivare davanti al trono dell’Agnello morto e risorto di cui ci parla il libro dell’Apocalisse? Nel testo delle beatitudini troviamo la prima mossa per metterci coraggiosamente in cammino dentro di noi: farsi umili, farsi piccoli. Questo messaggio soggiace dietro il vangelo delle beatitudini: umiltà! Non possiamo darci noi, essere umani, la felicità ed il senso della vita: ma può darcelo solo il Creatore! Allora con coraggio, i santi, si sono lasciati andare al piacere della vita che più ci resta difficile perseguire: contemplare l’opera di Dio! Contemplare l’opera di Dio nella vita, nel mondo, nella natura, contemplare l’opera di Dio nel bene, nella carità, contemplarla da un altare, contemplarla da seduti su un marciapiede, addirittura contemplarla nel “letto” del dolore e della morte, contemplare l’opera di Dio da ogni dove e in ogni uomo e donna! I santi hanno lasciato fare a Cristo l’azione, hanno fatto fare a Cristo l’ “attore”: loro, prima sono stati ad ammirare la sua opera, a contemplarla – come dei spettatori a teatro – e poi, alzatisi dalla poltrona amorevole di un riposo contemplante, si sono messi in movimento per pregare e per aiutare il prossimo! L’umanità di ogni tempo cerca la felicità nel godimento e non nel piacere reale! Il piacere reale è contemplativo, è riposante, è calmante, è “ansiolitico” in questa società che spesso non è più in grado, apparentemente, di fermare la corsa del consumo in ogni senso… La contemplazione dell’amore è la cura della nostra società cibernetica e liquida, scorriamo velocemente storie corte con connessioni veloci, una umanità che ogni giorno si affretta a percorrere strade per un futuro incerto e sconosciuto. Il godimento finisce, il piacere del contemplare l’amore resta. E, la prima cosa da fare, è fare niente: restare ad ammirare l’opera di Dio, l’amore. Come quando vedi un programma che ti piace o leggi un bel libro sul divano e, con intorno le persone che ami, ti addormenti. Non c’è niente di più coccolante, riposante e piacevole al mondo nel contemplare l’amore e addormentarsi tra le voci e la presenza delle persone che ami (anche se sembra che non ti amino). Solo dopo che siamo entrati in questa contemplazione dell’opera di Dio, quando siamo sazi della visione, allora ci addormentiamo nella grazia di Dio, cioè entriamo in un altro messaggio, che è anche un traguardo, del vangelo delle beatitudini: la pace del cuore, la consolazione. Un vangelo, quello delle beatitudini, fatto anche di sofferenza e tolleranza del male ma, con in sottofondo, una “musica” mite e pacifica. Solo al risveglio dal riposo che nasce dal contemplare l’opera di Cristo che ci circonda – e, crediamoci, anche se non ci crediamo, l’opera di Cristo ci circonda – ci possiamo mettere in cammino sulla strada della carità, della testimonianza, della preghiera: cammino personale e comunitario che sgorga dalla gioia e dalla pace di aver incontrato il Signore.
Non abbiate paura di accogliere Cristo!
Questo ci testimoniano le vite dei santi: siamo stati creati specialmente per trovare il Signore e raggiungerlo nella beatitudine del cielo. Tutto il Vangelo delle beatitudini fa riferimento alla speranza certa del “premio” celeste, del Regno di Dio, nella vita eterna. La vita dei santi è anche un annuncio di elevare i nostri cuori al Signore, di vivere in amicizia con Lui e, allora, con Giovanni potremmo dire: noi saremo simili a lui, perché lo vedremo così come egli è. I santi erano consapevoli della paura che la morte fa a tutti gli uomini e donne; non possiamo alienare questo fatto reale che prima o poi ci accadrà. Ma i santi ci annunciano che dopo la morte c’è l’incontro reale con Cristo morto e risorto, ci annunciano che questa vita è un cammino, un viaggio verso la vita di Dio; che, la morte, è un esodo per la Resurrezione. Perciò siamo chiamati ad incontrare Gesù in questo mondo, senza aver paura di fare scelte che ci facciano fare sul serio con Dio, che ci mettano in gioco davvero in questo viaggio. I santi ci testimoniano che Dio non ci rifila fregature, ma se rispondiamo ‘si’ alla sua chiamata, se facciamo scelte coraggiose per seguire il Signore: allora ci accorgiamo della Sua Presenza e, la nostra gioia, sarà piena. Spesso a noi non manca la fede in Dio, ma il coraggio di lasciar fare al Signore la sua opera nella nostra vita e attraverso di noi, la Sua opera nel mondo. Lui, solo Lui, non ci deluderà! I santi hanno vissuto la loro vita non svuotati della loro persona, ma anzi, hanno vissuto la loro vita in pienezza comprendendo che solo Dio può dare pienezza alla nostra vita. Non abbiate paura di accogliere Cristo e accettare la sua potestà, … non abbiate paura, aprite, anzi spalancate le porte a Cristo, alla sua Salvatrice Potestà. Non abbiate paura. Cristo sa cosa è dento l’uomo, solo Lui lo sa. (Giovanni Paolo II). Il rischio è di vivere una vita mediocre, senza vivere davvero! Oggi ci pubblicizzano tanti modi di vivere la vita in pienezza o, addirittura, di accontentarci di una vita mediocre… Dio ci ha creato affinché vivessimo una vita in pienezza e che poi possa “traghettarci” nel pieno della vita di Dio, quella eterna. I santi, anche quelli più silenziosi, ci predicano, con le loro vite, che la vita di ciascuno è preziosa agli occhi di Dio, tanto che Cristo è morto e risorto per ciascuno di noi! Non abbiamo paura di essere santi, non abbiamo paura di andare fino in fondo! Che cosa abbiamo da perdere?
Domenica 29 Ottobre 2023
Dal vangelo secondo Matteo (Mt 22,34-40)
In quel tempo, i farisei, avendo udito che Gesù aveva chiuso la bocca ai sadducèi, si riunirono insieme e uno di loro, un dottore della Legge, lo interrogò per metterlo alla prova: «Maestro, nella Legge, qual è il grande comandamento?».
Gli rispose: «“Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente”. Questo è il grande e primo comandamento. Il secondo poi è simile a quello: “Amerai il tuo prossimo come te stesso”. Da questi due comandamenti dipendono tutta la Legge e i Profeti».
Ascolta, sto per dirti qualcosa di importante!
In questo Vangelo – cuore di tutto l’insegnamento cristiano – Gesù riprende il “credo” storico di Israele, vogliamo sentirci destinatari dell’appello che Dio ha fatto al suo popolo e continua a fare oggi a noi. Un appello in questi pochi versetti che sancirono l’alleanza tra Dio e il popolo di Israele e che oggi posso aiutarci a rinnovare questa alleanza tra noi e Dio. Per gli ebrei queste poche righe sono una sorta di “piccolo credo” che recitano al mattino ed alla sera, nei momenti forti della liturgica ebraica e alla fine della vita… La fede d’Israele le considera come il “giogo del Regno dei cieli” che ognuno deve prendere su di se (Commenti rabbinici allo Shemà Isra’el, Edizioni Qiqajon, 2001, p. 12.)
Il primo precetto di Dio, il suo primo appello all’alleanza è: ascolta! Ascoltare è la prima condizione per poter vivere nell’alleanza con Dio. Ascolta perché sto per dirti qualcosa di importante, qualcosa di vitale, qualcosa che ti renda la vita felice e lunga, un appello che già dall’antico testamento impegna Israele come preghiera e come professione di fede: Ascolta, Israele: il Signore è il nostro Dio, unico è il Signore. Tu amerai il Signore, tuo Dio, con tutto il cuore, con tutta l’anima e con tutte le forze. Questi precetti che oggi ti do, ti stiano fissi nel cuore. Li ripeterai ai tuoi figli, ne parlerai quando ti troverai in casa tua, quando camminerai per via, quando ti coricherai e quando ti alzerai. Te li legherai alla mano come un segno, ti saranno come un pendaglio tra gli occhi e li scriverai sugli stipiti della tua casa e sulle tue porte (Dt 6,3)! Dio fa un appello agli uomini: chi risponderà “presente”? Nelle lingue semitiche, “ascoltare” non è solo una questione di orecchio: vuol dire accogliere, capire anche con il cuore. In pratica, vuol dire avere fede”.
In questo Vangelo – cuore di tutto l’insegnamento cristiano – Gesù riprende il “credo” storico di Israele, vogliamo sentirci destinatari dell’appello che Dio ha fatto al suo popolo e continua a fare oggi a noi. Un appello in questi pochi versetti che sancirono l’alleanza tra Dio e il popolo di Israele e che oggi posso aiutarci a rinnovare questa alleanza tra noi e Dio. Per gli ebrei queste poche righe sono una sorta di “piccolo credo” che recitano al mattino ed alla sera, nei momenti forti della liturgica ebraica e alla fine della vita… La fede d’Israele le considera come il “giogo del Regno dei cieli” che ognuno deve prendere su di se (Commenti rabbinici allo Shemà Jisra’el, Edizioni Qiqajon, 2001, p. 19). Udire e sentire sono una cosa, ma ‘ascoltare’ richiede il fermarci, il prendere in considerazione di chi e di come si sta ascoltando e, prendere coscienza che qualcuno mi sta dicendo qualcosa di vero, di buono, di bello e di giusto. Ascoltare! Quanto è difficile ascoltare! – diceva Paolo VI – l’uomo moderno sazio di discorsi si mostra spesso stanco di ascoltare e, peggio ancora, immunizzato contro la parola. Dio, in questo brano, da, una legge che può anche non essere scritta, una legge che è a fondamento di ogni possibile Civiltà, o meglio, dell’idea stessa della civiltà. Si tratta di una Legge che rende possibili tutte le altre leggi… potremmo chiamarla la legge della parola. Stabilisce che essendo l’umano un essere di linguaggio, essendo la sua casa la casa del linguaggio, il suo essere non può che manifestarsi nella parola. Stabilisce che è l’evento della parola a umanizzare la vita e a rendere possibile la potenza del desiderio… Significa che la vita si umanizza e si differenzia da quella animale attraverso la sua esposizione al linguaggio e all’atto di parola (M. Recalcati, Il complesso di Telemaco, Feltrinelli 2014, p.30.) Dio fa l’evento della Parola, fa appello al nostro cuore: la sua più che essere un patto legale è un’alleanza d’amore. L’ascolto di una o della Parola ci rende esseri umani e sempre più umani. Perché l’umanità vive di ascolto e trasmissione della parola, vive di linguaggio.
Il Signore è il nostro Dio, unico è il Signore
Lui è nostro e noi siamo suoi. Dio si dona a noi è nostro… Non dice che il Signore è Dio, ma è il nostro Dio! E’ mio e tuo… C’è una forte familiarità che Dio vuole dal suo popolo, che Dio vuole da noi… La familiarità che non è una fredda alleanza tra un popolo e una super potenza, ma tra un Dio che ama il suo popolo e che vuole essere amato.
Ed è geloso, è l’unico, non ce ne sono altri. Questo per indicare il Monoteismo ma anche di non frapporre alcun “signore” davanti all’importanza di Dio. Quanti “signori”, quanti idoli invece ancora si frappongono tra noi e Lui! Quanti “no” diciamo a Dio perché qualcosa è più importante… La “legge della Parola” di cui parlavamo sopra, cioè vivere con coscienza la nostra fede in ascolto della presenza di Dio e dell’amore, quella che ci da la consapevolezza di essere umani e che ci fa fare scelte secondo il desiderio umano, cioè allo scopo di una umanità vissuta in pienezza: spesso l’abbandoniamo per i godimenti della vita… Cosicché abbiamo un unico Dio ma tanti “signori” che ci governano, che ci comandano… Addirittura ciò che è buono ed utile diventa, per nostra sottomissione, schiavizzante. Diventiamo cioè schiavi di persone e di cose, ci facciamo idoli che sembrano riempiano la nostra vita, invece la svuotano del suo senso più profondo.
Tu amerai il Signore, tuo Dio,
L’alleanza tra Dio e gli uomini non è generica e collettiva, ma anzi è personale e rapporto di amore. E’ il Signore tuo e lo devi amare. Scegliere per Dio è scegliere per l’amore. Ascolta amerai. E’ nell’ascolto che si fa l’esperienza dell’amore, è nell’amore che c’è il vero ascolto, quello che si lascia colpire il cuore, l’anima e le forze. L’amore ascoltato, l’ascolto dell’amore dilata il cuore, da un senso all’anima cioè alla vita e da forza, da forza! Il mondo forse oggi sa amare poco perché non sa più ascoltare e non sapendo più ascoltare non sa più amare. Dio porta il tuo giogo e tu il suo e, questo è il cammino della vita. Un dono da chiedere al Signore e su cui impegnarci è saper ascoltare l’amore e saper ascoltare con amore. La Parola di Dio che ci raggiunge prima che come lettura: come evento. Va ascoltata con orecchi d’amore, che ridona forza e anima la nostra vita. Non può essere una Parola, quella di Dio, tra le altre parole. Ma la sua è la Parola delle parole; la parola: amore. L’amore per cui l’uomo non può vivere! Ma l’amore vero, non quello artificioso, artificiale, fatto di zucchero depressivo o repressivo….
Questi precetti che oggi ti do, ti stiano fissi nel cuore.
I ricordi di quanto si è ascoltato non possono essere dimenticati perché si tratta di amore e, non possono essere neanche non trasmessi, perché l’amore è trasmissione di vita, di vitalità, di crescita… l’ascolto della presenza di Dio diventa la ragione di vita perché l’amore è ragione di vita. Perciò da quando ti alzi a quando vai al letto, quando sei a casa o quando sei in giro per via: non te ne puoi dimenticare! La “memoria” oggi è un problema serio, ma non parlo della memoria persa per malattia… Quanto invece della mancanza di memoria che è prerogativa in un ascolto d’amore. Oggi c’è come una indifferenza globalizzata – dice papa Francesco – alla Parola di Dio. Ci piace ciò che dice Dio, lo sentiamo ma, non ci entra dentro: non ce lo ricordiamo. L’ascolto trova per forza, se è annunciato dall’amore e da questo interpretato, la memoria, il ricordo. Il ricordo è godimento dell’anima e scopo di vita, il ricordo è nostalgia dell’amore e operosità per un nuovo ascolto sempre più profondo. Il ricordo, la memoria ci rendono quel ascolto sempre presente grazie al miracolo più bello per cui siamo nati e per cui viviamo: l’amore.
SIAMO STATI CREATI PER CONTEMPLARE NELL’ASCOLTO L’AMORE DI DIO:
- Come e quanto dedico spazio e tempo ad ascoltare Dio? L’ascolto è a fondamento dell’alleanza con lui, riesco ad avere dei momenti di silenzio, importante momento in cui Dio mi Parla?
- Crediamo che Dio sia unico, ma spesso da altri “signori”, dagli idoli, ci lasciamo allontanare da Lui e scegliamo di non stare con Dio. Riesci a capire quali sono?
- Come trasmettere in famiglia questo valore dell’ascolto e dell’amore di Dio che spesso richiede anche il “giogo” pesante del sacrificio?
- Come vincere la smemoratezza dello spirito per ricordarci ciò che Dio ci dice, farne memoria e viverlo con tutto il cuore, con tutte la vita e le nostre forze?
Abbiamo imparato che imparare ad amare significa imparare ad ascoltare. Amare se stessi è una “ginnastica” che tutti i giorni dovremmo fare ascoltando il nostro cuore, ascoltando la nostra vita come se ce la raccontassero per cercare di comprendere ciò e perché ci succede: cosa vedo dentro di me? Cosa c’è? Amarci con tutte le forze apre uno squarcio profondo sull’importanza e la necessità delle correzioni, vale a dire delle sofferenze sopportate per amore (Commenti rabbinici allo Shemà Jisra’el, Edizioni Qiqajon, 2001, p. 51.). Dobbiamo amare noi stessi! Amare la nostra vita, amarla così com’è e metterci in ascolto di essa per poter vivere ciò per cui siamo stati creati: la felicità, la felicità che sarà piena solo in paradiso. Ascoltare il nostro cuore, ascoltare la nostra mente, la nostra volontà, il nostro corpo… Ascoltarci perché la misura con cui amiamo Dio ed il prossimo, la misura della felicità, è la misura di quanto e di come amiamo noi stessi. Non possiamo non stimarci: dobbiamo stimarci! Non possiamo valutarci ne più ne meno di ciò che siamo: il contrario crea problemi…
Amare il prossimo parte dall’ascoltarlo, ma non solo ascoltarlo in senso verbale, ascoltarlo mentre parla, almeno non solo. Ascoltarlo è esteso a tutti i sensi, interni ed esterni di noi, cioè ascoltare il suo cuore – compassione – , la sua anima, i suoi comportamenti, la sua vita. E’ il prossimo di me, Dio me lo ha affidato per custodirlo, anche quello che è più difficile da amare, addirittura il nemico sembra impossibile da amare. Ascoltare il prossimo porta può darsi a non capirlo fino in fondo, ma almeno a comprenderlo. Ascoltarlo ed amarlo perché Dio e il nostro prossimo ci completano: non bastiamo infatti a noi stessi. Portate il peso gli uni degli altri – disse Gesù – portare il giogo del nostro prossimo, la pesantezza dell’alleanza con lui o lei. Il giogo quando si fa pesante ancora di più, l’amore diventa ancora più provato e quindi più autentico. Dobbiamo decidere però di non dire: questo o quella non li amerò mai! E’ difficile, ma l’ascolto dell’altro è il segreto per poter amarlo. Perché l’amore porta in se un grande mistero: il mistero della presenza di Dio.
Amare… stesso vale più di tutti gli olocausti e i sacrifici
L’amore porta in se un grande mistero: il mistero della presenza di Dio. E non c’è preghiera, né atto di culto, né liturgia, né penitenza che possa valere ed essere autentica: se non c’è questo amore triplice ed equilibrato per Dio, per noi stessi e per il nostro prossimo tutto rimane come “vuoto”. Donare la vita per i nostri fratelli come Lui… Spesso i profeti hanno denunciato – da ultimo Gesù – che tutti gli atti di culto, i sacrifici, gli atti religiosi e persino l’elemosina – se prescindono dall’amore vero sono “religione vuota”.
Siamo stati creati per contemplare l’amore, mistero di amore per noi stessi, per Dio e per il prossimo e contemplarlo nel suo diventare più pesante quando il giogo diventa più pesante ed il cammino più duro…
Non sei lontano dal regno di Dio
Se comprendiamo questo, come lo scriba del testo parallelo di Luca, non siamo lontani dal regno di Dio: questo ci pacifica, ci far star bene, ci completa e ci fa attraversare serenamente anche il passaggio più duro della vita, la morte. Così per cominciar a vivere davvero!
Cristo, portando la croce, ci ha fatto vedere come si guida l’umanità verso il Regno dei cieli: con tenacia, passione e sofferenza ma con la gioia, la consolazione e la letizia nel cuore perché ci attende quel Regno promesso: il Regno di Dio.
AMIAMO DIO ED IL PROSSIMO: NON BASTIAMO A NOI STESSI!
- Quanto dedico ogni giorno all’ascolto di me stesso? So fermarmi, fare memoria della mia vita, comprenderne gli avvenimenti ed essere cosciente di ciò che accade?
- Come ascolto il mio prossimo? Sento che lui o lei, anche se scomodi e difficili da amare, completano la mia vita? Sono consapevole che ognuno va ascoltato perciò accettato ed amato perché ha la sua storia, i suoi problemi, le sue croci, le sue ferite???
- Vivo l’amore per Dio, per me stesso e per il prossimo: come giogo da portare oppure quando arriva la pesantezza reagisco contro l’amore o peggio mi tiro indietro?
Domenica 22 Ottobre 2023
Dal vangelo secondo Matteo (Mt 22,15-21)
In quel tempo, i farisei se ne andarono e tennero consiglio per vedere come cogliere in fallo Gesù nei suoi discorsi.
Mandarono dunque da lui i propri discepoli, con gli erodiani, a dirgli: «Maestro, sappiamo che sei veritiero e insegni la via di Dio secondo verità. Tu non hai soggezione di alcuno, perché non guardi in faccia a nessuno. Dunque, di’ a noi il tuo parere: è lecito, o no, pagare il tributo a Cesare?».
Ma Gesù, conoscendo la loro malizia, rispose: «Ipocriti, perché volete mettermi alla prova? Mostratemi la moneta del tributo». Ed essi gli presentarono un denaro. Egli domandò loro: «Questa immagine e l’iscrizione, di chi sono?». Gli risposero: «Di Cesare».
Allora disse loro: «Rendete dunque a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio».
MEDITAZIONE
UNA TRAPPOLA UMANA: CONSENSO E DENARO, IL POTERE
Cogliere in fallo Gesù: questo i Farisei escogitano contro di Lui. Una trappola. Una trappola di cui sono vittime loro stessi, una trappola che coglie in fallo ogni uomo nella tentazione del potere; potere di ogni tipo e livello. Dal potere psicologico: fare del tutto affinché gli altri la pensino come me e facciano come io penso, al potere della coscienza che si vuole impossessare della mente degli altri, al potere personale che ci rende orgogliosi per ciò che riusciamo a vincere, al potere materiale, a quello dei soldi dove ogni “cosa” si può comprare… il potere! Il potere che tenta di fa cogliere in fallo il nostro prossimo o lo fa cadere anche quando non lo vogliamo. Il potere: pura illusione dell’uomo di ogni tempo che crede di possedere chissà chi o chissà cosa, ma di fatto possiede un vuoto esistenziale. Questi Farisei, amanti del gioco di potere, vogliono cogliere in fallo Gesù mettendolo in discussione proprio sul potere nella sua stessa definizione, mettersi contro o il consenso della folla o l’autorità romana. Ma Gesù non cade in trappola perché non vive la sua esperienza di Messia nell’orda del potere.
E’ lecito o no…? Dietro questa richiesta si cela una trappola interessante ed interessata nell’ordine umano: tra legge di stato e “legge divina”, di cui i Farisei erano attenti e puntiglio, nonostante pagavano il tributo a Cesare. Non c’è una legge divina. Gesù non risponde a questa questione ma neanche la elude perché non si pone a differenza la legge statale umana dalla volontà divina che riguarda altre cose… L’una non invade e, evidentemente non invada, il campo dell’altra… Il Cristianesimo non si riconosce come religione teocratica, né la società statale può mettersi al posto di Dio… Come vivo la parola “potere”?
CRISTO: TRASPARENZA E LEALTA’
Non ti curi di nessuno … non guardi in faccia nessuno: Gesù è riconosciuto come trasparente e leale. Parla con chiarezza davanti a tutti: non guarda in faccia nessuno, appunto. Un modo di dire anche oggi di chi le cose le dice chiaramente davanti ai diretti interessati per quel che sono. Dovremmo imparare da Cristo questa cultura della trasparenza e della lealtà: che poi è cultura della libertà! Chi è trasparente e leale non ha da temere nulla e, Gesù, dice la verità non guardando in faccia nessuno; ma Cristo trasparente e leale, come ha detto la Verità? Oggi c’è un equivoco: parlare in faccia è si sintomo di trasparenza e lealtà, ma troppo spesso il modo con cui si dice la Verità non è evangelico. Il fine non giustifica i mezzi! Gesù dice la Verità con trasparenza e lealtà: con la carità dell’uomo di Dio e con la saggezza del Dio fatto uomo. E noi, come diciamo la verità? Adoperiamo la carità e la saggezza per essere leali e trasparenti? Promuoviamo intorno a noi e in noi stessi una cultura della trasparenza, della lealtà e della onestà (che sono effetti della carità cristiana)?
LA CHIESA ESPERTA DI UMANITA’, SERVIZIO CONTRO L’INTERESSE PERSONALE
Rendete a Cesare quel che è di cesare e a Dio quel che è di Dio? Dio non compete con Cesare, né Cesare ha possibilità di competere con Dio…Ma questa frase chiarisce il fatto che a “Cesare”, alla società umana, possiamo e dobbiamo dare il nostro contributo. La Chiesa non vive sotto una “campana di vetro” fregandosene della società, perché fregarsene della società sarebbe fregarsene dell’umanità. Alla Chiesa, a noi cristiani, c’è spesso richiesto aiuto… “Noi, quali “esperti in umanità… Noi sentiamo di fare Nostra la voce dei morti e dei vivi; dei morti, caduti nelle tremende guerre passate sognando la concordia e la pace del mondo; dei vivi, che a quelle hanno sopravvissuto portando nei cuori la condanna per coloro che tentassero rinnovarle; e di altri vivi ancora, che avanzano nuovi e fidenti, i giovani delle presenti generazioni, che sognano a buon diritto una migliore umanità. E facciamo Nostra la voce dei poveri, dei diseredati, dei sofferenti, degli anelanti alla giustizia, alla dignità della vita, alla libertà, al benessere e al progresso” (Dal discorso di Paolo VI all’ONU, 4 Ottobre 1965). Noi siamo impegnati nel migliorare la “città degli uomini” perché Dio si è fatto uomo. Come vivo il mio impegno di servire l’umanità nella promezio e dei valori umani in una società spessp disumanizzata?
Ma questo servizio del cristiano per l’umana società molte volte scade nel vacuo interesse personale, da quello ideologico ed appariscente a quello meramente pecuniale mascherato di volontariato e servizio sociale… Le nostre parrocchie spesso ne sono intrise; abbiamo spesso riempito le nostre sale di attività, ma svuotato i cuori… “Stringiamoci a Cristo e che sia la conoscenza e la sequela di Lui il cuore di ogni programma pastorale! Questo vuol dire che la comunità non si costruisce sull’efficienza della sua macchina organizzativa, non si riduce a spazio aggregativo per bambini e per anziani…” (Dal discorso del Vicario al termine del convegno diocesano 2017, citando Evangelii Gaudium di Papa Francesco), la parrocchia rimane no profit come il nostro servizio per la Chiesa e nella società umana! Quale profitto dal mio servizio nella società umana o nella Chiesa di Dio? Come vivo il valore fondamentale della gratuità?
IL PUNTO DI VISTA DI DIO: LA MERAVIGLIA
La risposta di Gesù li sorprende. Oltre l’alternativa posta da loro, c’è un’altra possibilità. La trappola, che hanno teso a Lui, è in realtà la trappola nella quale loro stessi si trovano. Il livello della risposta di Gesù è un altro ed era impensabile… Dio è al di sopra di tutto. La risposta di Gesù lascia senza parole perché fa della religione una fede che trascende l’ordine delle cose umane… Tutto avviene sotto lo sguardo di Dio, anche il potere di Cesare è sotto lo sguardo di Dio; ricordiamo la risposta di Gesù a Pilato durante il processo: non avresti nessun potere se non ti fosse stato dato dall’alto… Meraviglioso è l’annuncio che c’è dietro: l’uomo di fede vive nel mondo ma sa che Dio veglia su di lui, Dio veglia sul mondo: è Signore della vita e della morte – infatti il continuo di questo vangelo sarà il tema della resurrezione dai morti – è l’unico a cui dare ciò di cui ne è il vero destinatario: l’adorazione. I primi cristiani perseguitati pagavano il tributo a Cesare, ma non adoravano Cesare! Adorare – rendere culto, pregare, contemplare – è ciò che è dovuto a Dio e di cui nessuno ne è il destinatario nel mondo! Quanti idoli ancora abbiamo, dall’altra faccia della medaglia! Spesso ribaltiamo la questione: diamo a Dio un “tributo” e adoriamo “cesare” (qualcosa o qualcuno)… E’ Dio l’unico destinatario della mia adorazione (culto, preghiera, speranza, contemplazione)? Mi dà serenità il fatto che Dio sia al di sopra di tutto e di tutti e che: tutto avviene sotto il suo sguardo d’amore e di libertà?
[1] Dal discorso di Paolo VI all’ONU, 4 Ottobre 1965.
[2] Dal discorso del Vicario al termine del convegno diocesano 2017, citando Evangelii Gaudium di Papa Francesco.
Domenica 15 Ottobre 2023
Dal Vangelo secondo Matteo (Mt 22,1-14)
In quel tempo, Gesù riprese a parlare con parabole [ai capi dei sacerdoti e ai farisei] e disse:
«Il regno dei cieli è simile a un re, che fece una festa di nozze per suo figlio. Egli mandò i suoi servi a chiamare gli invitati alle nozze, ma questi non volevano venire.
Mandò di nuovo altri servi con quest’ordine: Dite agli invitati: “Ecco, ho preparato il mio pranzo; i miei buoi e gli animali ingrassati sono già uccisi e tutto è pronto; venite alle nozze!”. Ma quelli non se ne curarono e andarono chi al proprio campo, chi ai propri affari; altri poi presero i suoi servi, li insultarono e li uccisero. Allora il re si indignò: mandò le sue truppe, fece uccidere quegli assassini e diede alle fiamme la loro città.
Poi disse ai suoi servi: “La festa di nozze è pronta, ma gli invitati non erano degni; andate ora ai crocicchi delle strade e tutti quelli che troverete, chiamateli alle nozze”. Usciti per le strade, quei servi radunarono tutti quelli che trovarono, cattivi e buoni, e la sala delle nozze si riempì di commensali.
Il re entrò per vedere i commensali e lì scorse un uomo che non indossava l’abito nuziale. Gli disse: “Amico, come mai sei entrato qui senza l’abito nuziale?”. Quello ammutolì. Allora il re ordinò ai servi: “Legatelo mani e piedi e gettatelo fuori nelle tenebre; là sarà pianto e stridore di denti”.
Perché molti sono chiamati, ma pochi eletti».
MEDITAZIONE
UNA FESTA DI NOZZE PREPARATA PER IL FIGLIO
Ancora Gesù parla in parabole insistendo sul messaggio ai destinatari religiosi del tempo – così come per l’evangelista Matteo i destinatari siamo noi – per aprire la loro mente ed il loro cuore alla novità del Regno di Dio. Il Re della parabola ha preparato il pranzo di nozze per suo figlio, così come Dio ha preparato nella storia della Salvezza la prima venuta del Figlio. E’ bello che Dio viva l’incontro con l’umanità come una FESTA DI NOZZE! Dio fa festa perché noi ci riuniamo a stare con Lui. Tutto l’antico testamento narra una storia di attesa di questo incontro tra Dio e l’uomo: la venuta del Cristo. Nonostante la lunga attesa, l’accurata preparazione profetica e soprattutto le promesse irrevocabili, i giuramenti di Dio, il popolo eletto si mette fuori dalla salvezza, i giudei si sono autoesclusi come gli invitati alle nozze. La comunità cristiana, nonostante essere il nuovo Popolo di Dio che il Cristo ha configurato e preparato, rischia di non essere pronta alla festa di nozze che continuamente celebra nei Sacramenti ma ancor di più al ritorno del Figlio dell’uomo sulla terra. In questa parabola forte è l’impressione che lascia all’ascoltatore dell’amore del Padre per il Figlio… L’ENTUSIASMO del Padre di preparare la festa per il Figlio emerge nel mandare più volte, anche con risultato fallimentare, i suoi servi, a farsi portatori dell’invito. Dio mi invita alle nozze del Figlio, che in special modo celebriamo nell’Eucaristia domenicale: come rispondo a questo invito?
L’IGNAVIA DEGLI INVITATI CHE RIFIUTANO…
Ma cosa spinge l’uomo a rifiutare l’invito di Dio? Perché? Semplicemente ma gravemente per IGNAVIA; infatti alcuni… non volevano venire… altri non se ne curarono… altri avevano da fare… altri ancora per cattiveria. Gli Ignavi che, come scrisse Dante nella divina commedia, vissero senza infamia e senza lode… Senza infamia e senza lode… Il cristiano, come i giudei del tempo di Gesù, devono temere solo se stessi per questa ignavia in cui si può cadere. Questo peccato del lasciarsi andare ad una fede mediocre, accontentata, vinta da una pigrizia, indolenza spirituale, che dice viltà… E’ lo stato di peccato più potente oggi dei cristiani che vivono questo genere di religiosità, presi da tante cose pratiche da fare, dal tempo che non c’è, dallo spazio che è sempre vuoto, da un rifiuto perché anche la Chiesa è rifiutabile… In questo quotidiano invito di Dio a fare festa – che dice felicità – il cristiano di oggi preferisce spesso di più l’apatìa, il vittimismo, una religiosità senza spina dorsale, che non sa quello che vuole, senza senso. L’Ignavia che ci fa fare esperienza di un Dio lontano che non risponde ma, perché, noi non abbiamo risposto al suo invito… L’ignavia di una fede offuscata più dalla paura del male e del giudizio di Dio e degli altri, che godente della gioia delle nozze. L’ignavia di una religiosità che non vuole andare fino infondo nel rapporto con Dio, perché preferisce la fastidiosa ma scelta irregolarità e superficialità; ecco perché gli ignavi danteschi erano torturati da insetti e vermi… L’ignavia lascia l’uomo con miriadi di fastidi, lo intorpidisce nella intolleranza, nel vittimismo, nel qualunquismo… Il peccato di ignavia, si chiama accidia: come rispondo all’invito di Dio? Gli ignavi sono gli indegni di Dio! Religiosi che nel loro paradosso di esserci non ci sono: lo rifiutano!
…DAI CROCICCHI DELLE STRADE
Ancora una volta Gesù mette al centro della possibile conversione i poveri, gli esclusi, i pagani. Mi piace chiamarli gli uomini e le donne della strada, che si sanno confrontare con la realtà e vanno fino in fondo nelle situazioni… Questi non sono ignavi perché poveri, o peccatori bisognosi di perdono oppure pagani… La Chiesa si deve riconoscere come uomini e donne invitati e salvati da Dio; se no siamo degli utenti che pensano di aver scelto loro in quale Dio credere… La Chiesa è questo raduno dai crocicchi delle nostre strade, dagli incroci delle storie fatte di sofferenze e di peccati, di aiuto e di gioia… Questi invitati, prima, si saranno intravisti per strada, si saranno guardati, forse anche ignorati… Ma dagli incroci delle strade ora si incrociano le loro vite: non a caso, ma perché Dio li ha invitati a farlo… La Chiesa sono fratelli e sorelle radunati per invito dal Dio, ognuno dalla propria strada, dai propri incroci di vita: oggi commensali del banchetto regale divino. Prendo coscienza che è Dio a chiamarmi al Banchetto della sua Chiesa e del Suo Regno e non tanto la mia scelta o la mia purità…
MOLTI CHIAMATI, POCHI GLI ELETTI
Bella la missione del Cristiano: quanti trovate, chiamate! Invitate! Invitate in nome di Dio! Non sia sterile la nostra fede! Raccolsero buoni e cattivi: questa è la nostra missione, questa è la missione della Chiesa. E che bella: la sala è piena! Non da il senso del numero quantitativo, quanto invece della pienezza del cuore. Il cuore di Dio è pieno nella Chiesa di figli e figli, buoni e cattivi… La sala è piena! Dio scende come il re a sala riempita e ci guarda, uno ad uno… e’ un gesto che facevano anticamente i Re: scendevano e scrutavano i commensali uno per uno e poi si ritiravano dando inizio alla festa di nozze.
C’è stata data una veste bianca nella celebrazione del nostro battesimo che vuole dire: non la nostri purità davanti a Dio, ma la purezza che la sua luce rifulge su di noi! Perché siamo eletti a custodire la Presenza di Dio, a sedere a questo banchetto delle nozze dell’agnello.
La parola chiave di questa parabola è: molti chiamati, pochi gli eletti. Dio chiama, Dio invita – anche attraverso di noi – a questo banchetto che la Chiesa celebra nell’Eucaristia nell’attesa della sua venuta: non manchiamo a questa discesa permanente e fedele della presenza di Dio nel mondo… che oggi viene nella parola, nel Pane e nel vino consacrati nella Comunità cristiana e che, tornerà, alla fine dei tempi.
La sala è allestita
“Che cosa è avvenuto? Oggi sulla terra c’è grande silenzio, grande silenzio e solitudine. Grande silenzio perché il Re dorme: la terra è rimasta sbigottita e tace perché il Dio fatto carne si è addormentato e ha svegliato coloro che da secoli dormivano. Dio è morto nella carne ed è sceso a scuotere il regno degli inferi.
Certo egli va a cercare il primo padre, come la pecorella smarrita. Egli vuole scendere a visitare quelli che siedono nelle tenebre e nell’ombra di morte. Dio e il Figlio suo vanno a liberare dalle sofferenze Adamo ed Eva che si trovano in prigione.
Il Signore entrò da loro portando le armi vittoriose della croce. Appena Adamo, il progenitore, lo vide, percuotendosi il petto per la meraviglia, gridò a tutti e disse: « Sia con tutti il mio Signore ». E Cristo rispondendo disse ad Adamo: « E con il tuo spirito ». E, presolo per mano, lo scosse, dicendo: “Svegliati, tu che dormi, e risorgi dai morti, e Cristo ti illuminerà.
Io sono il tuo Dio, che per te sono diventato tuo figlio; che per te e per questi, che da te hanno avuto origine, ora parlo e nella mia potenza ordino a coloro che erano in carcere: Uscite! A coloro che erano nelle tenebre: Siate illuminati! A coloro che erano morti: Risorgete! A te comando: Svegliati, tu che dormi! Infatti non ti ho creato perché rimanessi prigioniero nell’inferno. Risorgi dai morti. Io sono la vita dei morti. Risorgi, opera delle mie mani! Risorgi mia effige, fatta a mia immagine! Risorgi, usciamo di qui! Tu in me e io in te siamo infatti un’unica e indivisa natura.
Per te io, tuo Dio, mi sono fatto tuo figlio. Per te io, il Signore, ho rivestito la tua natura di servo. Per te, io che sto al di sopra dei cieli, sono venuto sulla terra e al di sotto della terra. Per te uomo ho condiviso la debolezza umana, ma poi son diventato libero tra i morti. Per te, che sei uscito dal giardino del paradiso terrestre, sono stato tradito in un giardino e dato in mano ai Giudei, e in un giardino sono stato messo in croce. Guarda sulla mia faccia gli sputi che io ricevetti per te, per poterti restituire a quel primo soffio vitale. Guarda sulle mie guance gli schiaffi, sopportati per rifare a mia immagine la tua bellezza perduta.
Guarda sul mio dorso la flagellazione subita per liberare le tue spalle dal peso dei tuoi peccati. Guarda le mie mani inchiodate al legno per te, che un tempo avevi malamente allungato la tua mano all’albero. Morii sulla croce e la lancia penetrò nel mio costato, per te che ti addormentasti nel paradiso e facesti uscire Eva dal tuo fianco. Il mio costato sanò il dolore del tuo fianco. Il mio sonno ti libererà dal sonno dell’inferno. La mia lancia trattenne la lancia che si era rivolta contro di te.
Sorgi, allontaniamoci di qui. Il nemico ti fece uscire dalla terra del paradiso. Io invece non ti rimetto più in quel giardino, ma ti colloco sul trono celeste. Ti fu proibito di toccare la pianta simbolica della vita, ma io, che sono la vita, ti comunico quello che sono. Ho posto dei cherubini che come servi ti custodissero. Ora faccio sì che i cherubini ti adorino quasi come Dio, anche se non sei Dio.
Il trono celeste è pronto, pronti e agli ordini sono i portatori, la sala è allestita, la mensa apparecchiata, l’eterna dimora è addobbata, i forzieri aperti. In altre parole, è preparato per te dai secoli eterni il regno dei cieli ».“
Da un’antica « Omelia sul Sabato santo ». (PG 43, 439. 451. 462-463)
Domenica 8 Ottobre 2023
Dal vangelo secondo Matteo (Mt 21,33-43)
In quel tempo, Gesù disse ai capi dei sacerdoti e agli anziani del popolo:
«Ascoltate un’altra parabola: c’era un uomo, che possedeva un terreno e vi piantò una vigna. La circondò con una siepe, vi scavò una buca per il torchio e costruì una torre. La diede in affitto a dei contadini e se ne andò lontano. Quando arrivò il tempo di raccogliere i frutti, mandò i suoi servi dai contadini a ritirare il raccolto. Ma i contadini presero i servi e uno lo bastonarono, un altro lo uccisero, un altro lo lapidarono. Mandò di nuovo altri servi, più numerosi dei primi, ma li trattarono allo stesso modo. Da ultimo mandò loro il proprio figlio dicendo: “Avranno rispetto per mio figlio!”. Ma i contadini, visto il figlio, dissero tra loro: “Costui è l’erede. Su, uccidiamolo e avremo noi la sua eredità!”. Lo presero, lo cacciarono fuori dalla vigna e lo uccisero. Quando verrà dunque il padrone della vigna, che cosa farà a quei contadini?». Gli risposero: «Quei malvagi, li farà morire miseramente e darà in affitto la vigna ad altri contadini, che gli consegneranno i frutti a suo tempo». E Gesù disse loro: «Non avete mai letto nelle Scritture: “La pietra che i costruttori hanno scartato è diventata la pietra d’angolo; questo è stato fatto dal Signore ed è una meraviglia ai nostri occhi”? Perciò io vi dico: a voi sarà tolto il regno di Dio e sarà dato a un popolo che ne produca i frutti».
MEDITAZIONE
Dio ha creato ed ha cura ….
Il vangelo di questa parabola, prende il padrone di un terreno come metafora di Dio. La cura con cui il padrone della vigna si adopera per poterla creare e far crescere è un barlume della cura amorosa con cui Dio ha creato e crea, in qualche modo, di come Lui anche, ha sognato che vada il mondo, la nostra vita e la Chiesa… Questa vigna creata con cura e con amore significa a tutto tondo – anche se la parabola fa esplicitamente riferimento al popolo di Dio israelita prima e la Chiesa dopo – a tutte le realtà della nostra esistenza. Tornare a prendere coscienza di questa bellezza, di questa pace e di quanta cura Dio ci ha messo per poter creare il mondo, per concepire la nostra vita, per far nascere la Chiesa e quant’altro… Dio – diversamente dal padrone della vigna – non ci ha “affittato” il mondo, la vita, la Chiesa; ma ci ha affidato tutto questo che porta il sigillo del suo amore e della sua cura. E come il padrone della vigna manda i suoi servi, così anche Dio manda i suoi “ministri” a raccogliere quanto di Lui è cresciuto nel mondo, nella nostra vita, nella Chiesa. La chiave di lettura della parabola è: avremo noi l’eredità!. L’ultimo che ha mandato è il Figlio suo che fu rifiutato e ucciso fuori “dalla vigna di Israele”, fuori da Gerusalemme. Dio ha mandato il Figlio nel mondo non per misurare – come il padrone della vigna – il RISPETTO che Israele aveva di Lui – anche se questo fu e ci è da specchio su quanto rispettiamo Dio e i suoi emissari – ma per farci avere l’eredità. Qui l’eredità però non è una vigna, quanto invece la vita eterna che Cristo ci ha acquistato a costo della sua vita sulla croce. Recuperiamo questa immagine della creazione e cura amorosa con cui Dio da principio ha “sognato” il mondo, la tua vita, la Chiesa. Queste realtà, cosa sono diventate oggi? Quanto di buono e semplice c’è nel suo sogno primordiale di mondo, della nostra vita e della Chiesa…
La cattiveria
Questi contadini della parabola si arrogano un diritto che non hanno: appropriarsi della vigna e addirittura anche della eredità del figlio del padrone, e uccidono. La cultura del possesso mascherato di falsa umiltà, provoca quella che in psicologia si chiama: una mente negativa! Una mente che fa finta di accogliere apertamente e di capire – nel nostro caso – Dio ed il prossimo, finge innanzitutto con se stessa, ma invece e’ ricurva sul proprio “io”, nel proprio egoismo, egocentrismo, narcisismo… Pensare ad una “mente negativa” ci aiuta a sviluppare, riflettendoci, sì un esame della coscienza ma ancor di più ci apre ad una conversione per poter godere la vita come Dio l’ha creata e la cura. Una mente negativa, cattiva: porta rancore, si vanta delle proprie vittorie, ha paura dei cambiamenti, nasconde e mente, critica le persone, non definisce mai degli obiettivi, accusa gli altri per i propri errori, pensa di saper e di aver capito tutto, spera segretamente che gli altri falliscono, e’ spesso rabbiosa e polemica… questi atteggiamenti mi si addicono? Se dico: “no” io non sono così, sono sicuro di essere onesto con me stesso e con Dio?
Una meraviglia ai nostri occhi
Per noi, la presenza di Cristo nella nostra vita e degli “emissari” di Dio è pietra di inciampo se siamo inclini alla cattiveria, anche se non lo ammettiamo… Ma se viviamo senza la cultura del possesso del mondo, della nostra vita e della Chiesa, viviamo pieni di speranza, nella gioia vera che sarà piena in Paradiso. Allora, i servi che vengono a nome di Dio, il Figlio stesso che viene a noi nei Sacramenti, nella Parola e nella comunità cristiana, non è pietra di inciampo, ma: pietra angolare su cui poggia l’arco della nostra esistenza. Così accogliamo Cristo che è la meraviglia ai nostri occhi. Cosi anche accogliamo i fratelli e sorelle come una meraviglia… Ma perché il prossimo spesso non mi accoglie? Se osserva anche lui o lei il Vangelo e segue Gesù, perché spesso mi trovo non accolto? Forse dobbiamo chiederci il come io mi pongo con gli altri. Se l’altro trova in me una “mente negativa” si – giustamente e inconsciamente – difenderà per non lasciarsi inquinare; questo è un meccanismo umano automatico e inconscio. Conviene quindi chiederci: mi pongo in modo che gli altri non mi accolgano? Cosa ora è una meraviglia ai miei occhi?
Affidatari della eredità divina
Nei Sacramenti della Chiesa, nella Parola che ascoltiamo e meditiamo e nella comunità cristiana: Dio ci affida la sua eredità, la sua Presenza. Presenza che sarà piena, meravigliosa nel Regno dei cieli. Il Signore ci invita a vivere questa profezia dell’affidamento! Crescere in questa coscienza di fede di AFFIDARE a Dio la nostra vita, perché c’è una promessa, c’è una eredità che non si corrompe e ci aspetta dai secoli. Soltanto se ci sentiamo affidati a Dio recuperiamo la sua Paternità uscendo dalla orfananza che vive il mondo di oggi. Affidarsi a Dio ci fa prendere anche coscienza che a nostra volta il nostro prossimo è affidato a noi, perché condivide anche lui o anche lei la nostra stessa eredità. L’unico erede dell’amore eterno del Padre era il Figlio suo unigenito, ma morendo in Croce, Lui primogenito di tanti fratelli che condividono la fede, ci ha messo a disposizione la sua eredità… La nostra vita può anche fruttificare come i coloni hanno fatto fruttificare da buoni agricoltori la vigna di quel padrone, ma una cultura del RIFIUTO del Figlio di Dio – nei svariati modi implici ed espliciti con cui si possa rifiutare – non ci farebbe gustare in pieno questa vita che ha un senso: l’eredità di Colui che ci ha creati. Poniamo Cristo come pietra scelta tra le altre, di giusta forma per poter essere Lui l’affidatario su cui si regge tutta la nostra vita. Una cultura che rifiuta questa eredità divina, si chiude al RISPETTO, si apre alla mancanza di rispetto del mondo, della vita e all’interno della Chiesa della comunità ed dei suoi ministri. Una storia dall’antico testamento che ci può aiutare per capire tutto questo è quella di Giuseppe d’Egitto: Genesi dal capitolo 37 al 47: Giuseppe erede, rifiutato, affidato a Dio, salvato e salvatore.
Dal Vangelo secondo Matteo (Mt 21,28-32)
In quel tempo, Gesù disse ai capi dei sacerdoti e agli anziani del popolo: «Che ve ne pare? Un uomo aveva due figli. Si rivolse al primo e disse: “Figlio, oggi va’ a lavorare nella vigna”. Ed egli rispose: “Non ne ho voglia”. Ma poi si pentì e vi andò. Si rivolse al secondo e disse lo stesso. Ed egli rispose: “Sì, signore”. Ma non vi andò. Chi dei due ha compiuto la volontà del padre?». Risposero: «Il primo».
E Gesù disse loro: «In verità io vi dico: i pubblicani e le prostitute vi passano avanti nel regno di Dio. Giovanni infatti venne a voi sulla via della giustizia, e non gli avete creduto; i pubblicani e le prostitute invece gli hanno creduto. Voi, al contrario, avete visto queste cose, ma poi non vi siete nemmeno pentiti così da credergli».
MEDITAZIONE
L’onestà “intellettuale” del cristiano
Gesù parla ai capi dei sacerdoti e agli anziani del popolo: gente di preghiera, responsabili più degli altri della religiosità del tempo nel Tempio di Gerusalemme e nelle sinagoghe; Matteo scrive questo Vangelo per la sua comunità cristiana, i religiosi, credenti, convertiti al cristianesimo, battezzati… Perciò il messaggio di Gesù vuole riferirsi ai credenti, a coloro che sono anche “anziani”, cioè maturi nella fede, saggi. Questa davvero era gente santa, che seguiva i dettami del Dio di Israele i primi, gente santa battezzata e convertita al cristianesimo i secondi. Il Vangelo si riferisce ai credenti “doc”, i migliori… Non entriamo, noi credenti, nel luogo della disambiguazione dove ci convinciamo che questo Vangelo non parli a noi ma a chi è meglio di noi o chi è più “in alto” di noi. La Verità del Vangelo ci rincorre – come le parole di Gesù a questi religiosi, come le parole di Matteo alla sua comunità cristiana – e ci ferma a riflettere, con onestà intellettuale e sentimentale, a porci la domanda della parabola: che ve ne pare?
La fede si oppone all’egocentrismo
La parabola ci pone un uomo proprietario di una vigna, un uomo ricco, padre di due figli. La parabola è sempre simbolica: il padre rappresenta Dio, la vigna ha sempre una connotazione simbolica della religiosità di Israele che poi, come simbolo, si riversa sulla Chiesa. La vigna è la religiosità israelitica ma anche la Chiesa. Il Figlio che ha obbedito al Padre è Cristo, il servo di Jahve, obbediente fino alla morte e alla morte di croce. Gli altri hanno il presentimento di andare a lavorare la vigna, ma di fatto non lavorano per la vigna, lavorano per se stessi ed i loro ideali: anche nella Chiesa può succedere che, invece di obbedire alla logica del servizio – fare quello che c’è bisogno di fare – non obbedisco e non lavorano… Faccio solo quello che mi fa bene, che mi fa sentire al sicuro, e mi piace… In realtà l’obbedienza nel lavorare nella vigna come conditio sine qua non, dipende non solo dal rispetto che si ha del Padre, quanto invece dall’amore che si ha per il Padre! Il primo che aveva detto che non sarebbe andato, si pentì e vi andò… è preso da un sentimento che scuote la sua interiorità: va perché il “cuore”, che vuole bene al padre, lo spinge ad amare e a lavorare nella vigna. C’è anche un intelletto che gli fa fare quello che deve, contro voglia, ma l’amore per il padre e per la vigna è più forte: il suo “no” si tramuta in un “andò”. Ricorda un po’ la parola che Gesù risorto rivolse a san Pietro in una apparizione: quando sarai vecchio (maturo nella fede, saggio) tenderai le tue mani, e un altro ti cingerà la veste e ti porterà dove tu non vuoi (Gv 21,18). La logica della vera fede è illogica perché ti fa fare anche quello che non avresti voluto fare: questo richiede un cristianesimo autentico di chi sa “morire” al proprio egocentrismo. Il secondo figlio è quello rispettoso, quello del “sì, signore”… Ma questo risponde al padre con rispetto, ritualmente, con una parola celebrativa del rapporto padrone e servo e non di padre e figlio. : “sì, signore”! Una fede che ci vede seduti a messa, accomodati su “scanni” di tutto rispetto religioso, che ci vedono rispettare Dio rispettando precetti, “rituali” e schemi sempre uguali, regole che ci fanno sentire apposto così: ci dicono che siamo come il secondo figlio, sappiamo dire “sì, signore”, ma non ci compromettiamo con il cuore di figli al cuore del Padre. C’è pericolo – nonostante le nostre comunità sono sempre più piccole – di sentirci degli eletti obbedienti solo perché con le parole e con i fatti diciamo: “sì, signore”!
Misericordia di Dio e missione dell’uomo
Il cuore vero pulsante della fede, invece, ci porta dove noi “non avremmo voluto”… E ci accorgiamo che se facciamo la volontà illogica, ma reale, del Padre: la nostra fede diventa verace, sincera, perdonata. E, Gesù, lo dice con parole forti: i pubblicani e le prostitute vi passano avanti nel regno di Dio. Il cuore “irrituale” del peccatore che si converte, trova una fede reale, verace! La conversione è un processo, un cammino, di se stessi fatto con verità ed autenticità: l’onestà è a fondamento della scelta del cristiano di seguire il Signore. Questa sequela non si da con il “sì, Signore”, ma con una realtà interiore che turba l’anima ma che la converte! Soltanto chi fa esperienza della misericordia del Padre va oltre il rispetto, oltre il proprio egoismo, e si mette a servizio della vigna per ciò che c’è bisogno… Che ve ne pare? Questa domanda di Gesù ci pone sempre davanti alla realtà di metterci in discussione sulla nostra sequela, se seguiamo veramente il Signore o se ci sembra di seguirlo…
Domenica 1 Ottobre 2023
Dal Vangelo secondo Matteo (Mt 21,28-32)
In quel tempo, Gesù disse ai capi dei sacerdoti e agli anziani del popolo: «Che ve ne pare? Un uomo aveva due figli. Si rivolse al primo e disse: “Figlio, oggi va’ a lavorare nella vigna”. Ed egli rispose: “Non ne ho voglia”. Ma poi si pentì e vi andò. Si rivolse al secondo e disse lo stesso. Ed egli rispose: “Sì, signore”. Ma non vi andò. Chi dei due ha compiuto la volontà del padre?». Risposero: «Il primo».
E Gesù disse loro: «In verità io vi dico: i pubblicani e le prostitute vi passano avanti nel regno di Dio. Giovanni infatti venne a voi sulla via della giustizia, e non gli avete creduto; i pubblicani e le prostitute invece gli hanno creduto. Voi, al contrario, avete visto queste cose, ma poi non vi siete nemmeno pentiti così da credergli».
MEDITAZIONE
L’onestà “intellettuale” del cristiano
Gesù parla ai capi dei sacerdoti e agli anziani del popolo: gente di preghiera, responsabili più degli altri della religiosità del tempo nel Tempio di Gerusalemme e nelle sinagoghe; Matteo scrive questo Vangelo per la sua comunità cristiana, i religiosi, credenti, convertiti al cristianesimo, battezzati… Perciò il messaggio di Gesù vuole riferirsi ai credenti, a coloro che sono anche “anziani”, cioè maturi nella fede, saggi. Questa davvero era gente santa, che seguiva i dettami del Dio di Israele i primi, gente santa battezzata e convertita al cristianesimo i secondi. Il Vangelo si riferisce ai credenti “doc”, i migliori… Non entriamo, noi credenti, nel luogo della disambiguazione dove ci convinciamo che questo Vangelo non parli a noi ma a chi è meglio di noi o chi è più “in alto” di noi. La Verità del Vangelo ci rincorre – come le parole di Gesù a questi religiosi, come le parole di Matteo alla sua comunità cristiana – e ci ferma a riflettere, con onestà intellettuale e sentimentale, a porci la domanda della parabola: che ve ne pare?
La fede si oppone all’egocentrismo
La parabola ci pone un uomo proprietario di una vigna, un uomo ricco, padre di due figli. La parabola è sempre simbolica: il padre rappresenta Dio, la vigna ha sempre una connotazione simbolica della religiosità di Israele che poi, come simbolo, si riversa sulla Chiesa. La vigna è la religiosità israelitica ma anche la Chiesa. Il Figlio che ha obbedito al Padre è Cristo, il servo di Jahve, obbediente fino alla morte e alla morte di croce. Gli altri hanno il presentimento di andare a lavorare la vigna, ma di fatto non lavorano per la vigna, lavorano per se stessi ed i loro ideali: anche nella Chiesa può succedere che, invece di obbedire alla logica del servizio – fare quello che c’è bisogno di fare – non obbedisco e non lavorano… Faccio solo quello che mi fa bene, che mi fa sentire al sicuro, e mi piace… In realtà l’obbedienza nel lavorare nella vigna come conditio sine qua non, dipende non solo dal rispetto che si ha del Padre, quanto invece dall’amore che si ha per il Padre! Il primo che aveva detto che non sarebbe andato, si pentì e vi andò… è preso da un sentimento che scuote la sua interiorità: va perché il “cuore”, che vuole bene al padre, lo spinge ad amare e a lavorare nella vigna. C’è anche un intelletto che gli fa fare quello che deve, contro voglia, ma l’amore per il padre e per la vigna è più forte: il suo “no” si tramuta in un “andò”. Ricorda un po’ la parola che Gesù risorto rivolse a san Pietro in una apparizione: quando sarai vecchio (maturo nella fede, saggio) tenderai le tue mani, e un altro ti cingerà la veste e ti porterà dove tu non vuoi (Gv 21,18). La logica della vera fede è illogica perché ti fa fare anche quello che non avresti voluto fare: questo richiede un cristianesimo autentico di chi sa “morire” al proprio egocentrismo. Il secondo figlio è quello rispettoso, quello del “sì, signore”… Ma questo risponde al padre con rispetto, ritualmente, con una parola celebrativa del rapporto padrone e servo e non di padre e figlio. : “sì, signore”! Una fede che ci vede seduti a messa, accomodati su “scanni” di tutto rispetto religioso, che ci vedono rispettare Dio rispettando precetti, “rituali” e schemi sempre uguali, regole che ci fanno sentire apposto così: ci dicono che siamo come il secondo figlio, sappiamo dire “sì, signore”, ma non ci compromettiamo con il cuore di figli al cuore del Padre. C’è pericolo – nonostante le nostre comunità sono sempre più piccole – di sentirci degli eletti obbedienti solo perché con le parole e con i fatti diciamo: “sì, signore”!
Misericordia di Dio e missione dell’uomo
Il cuore vero pulsante della fede, invece, ci porta dove noi “non avremmo voluto”… E ci accorgiamo che se facciamo la volontà illogica, ma reale, del Padre: la nostra fede diventa verace, sincera, perdonata. E, Gesù, lo dice con parole forti: i pubblicani e le prostitute vi passano avanti nel regno di Dio. Il cuore “irrituale” del peccatore che si converte, trova una fede reale, verace! La conversione è un processo, un cammino, di se stessi fatto con verità ed autenticità: l’onestà è a fondamento della scelta del cristiano di seguire il Signore. Questa sequela non si da con il “sì, Signore”, ma con una realtà interiore che turba l’anima ma che la converte! Soltanto chi fa esperienza della misericordia del Padre va oltre il rispetto, oltre il proprio egoismo, e si mette a servizio della vigna per ciò che c’è bisogno… Che ve ne pare? Questa domanda di Gesù ci pone sempre davanti alla realtà di metterci in discussione sulla nostra sequela, se seguiamo veramente il Signore o se ci sembra di seguirlo…
Domenica 24 Settembre 2023
Dal Vangelo secondo Matteo (Mt 20,1-16)
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli questa parabola:
«Il regno dei cieli è simile a un padrone di casa che uscì all’alba per prendere a giornata lavoratori per la sua vigna. Si accordò con loro per un denaro al giorno e li mandò nella sua vigna. Uscito poi verso le nove del mattino, ne vide altri che stavano in piazza, disoccupati, e disse loro: “Andate anche voi nella vigna; quello che è giusto ve lo darò”. Ed essi andarono. Uscì di nuovo verso mezzogiorno e verso le tre, e fece altrettanto.
Uscito ancora verso le cinque, ne vide altri che se ne stavano lì e disse loro: “Perché ve ne state qui tutto il giorno senza far niente?”. Gli risposero: “Perché nessuno ci ha presi a giornata”. Ed egli disse loro: “Andate anche voi nella vigna”.
Quando fu sera, il padrone della vigna disse al suo fattore: “Chiama i lavoratori e dai loro la paga, incominciando dagli ultimi fino ai primi”.
Venuti quelli delle cinque del pomeriggio, ricevettero ciascuno un denaro. Quando arrivarono i primi, pensarono che avrebbero ricevuto di più. Ma anch’essi ricevettero ciascuno un denaro. Nel ritirarlo, però, mormoravano contro il padrone dicendo: “Questi ultimi hanno lavorato un’ora soltanto e li hai trattati come noi, che abbiamo sopportato il peso della giornata e il caldo”. Ma il padrone, rispondendo a uno di loro, disse: “Amico, io non ti faccio torto. Non hai forse concordato con me per un denaro? Prendi il tuo e vattene. Ma io voglio dare anche a quest’ultimo quanto a te: non posso fare delle mie cose quello che voglio? Oppure tu sei invidioso perché io sono buono?”.
Così gli ultimi saranno primi e i primi, ultimi».
MEDITAZIONE
Una chiesa da riparare
Gesù racconta questa parabola per i religiosi del tempo – scribi, farisei, ecc… – che ritenevano di essere i più importanti, i meglio religiosi, l’élite della fede, nella vigna del Signore. Matteo scrive questa parabola perché c’era evidentemente anche nella sua comunità cristiana, chi si riteneva più importante, “primo” davanti agli altri perché da più tempo erano e lavoravano per, e nella, comunità. Ma la vigna non è degli uomini, ma di Dio! La vigna di Israele non era dei scribi, dei farisei, dei religiosi del tempo: ma di Dio! Così la comunità cristiana non è di chi lavora di più in essa e da più tempo: ma di Dio! L’esperienza comunitaria della fede resta una “proprietà” di Dio. Non è pensabile che chi arrivo prima, o più in alto nel cammino di fede o nel cammino “gerarchico”, sia più meritevole di diritti in confronto a chi vi entra da poco o adesso: tutti valiamo allo stesso modo … C’è da riparare, la vigna del Signore, che se non si fonda sull’umiltà vede rovinarsi.
La Chiesa è del Signore
C’è la tentazione di appropriarsi della vigna del Signore, ed è una tentazione che attraversa la chiesa nei secoli già dai tempi di Gesù. La Chiesa non e fatta di persone che si conquistano diritti sugli altri, ne di tappe che rendono più meritevoli gli altri nei confronti di quelli dopo… E’ un messaggio evangelico non accettabile, sul livello umano, quello che esce fuori da questa parabola; se ci fossero stati i “sindacati” nel concetto di lavoro della parabola avrebbero sicuramente esortato allo sciopero o manifestato… Ma il Vangelo non è fatto di diritti, ma di libertà e innanzitutto della libertà di Dio perché, la vigna, la Chiesa: è Sua proprietà.
Tutti chiamati alla missione
Nella chiesa non posso essere “disoccupato”: tutti il Signore chiama a “lavorare” alla Sua vigna, tutti siamo missionari ed uno, non è più importante dell’altro. Spesso una falsa umiltà ci fa dire: eh ma se lo non lo faccio io non lo fa nessuno, arrogandovi diritti gerarchici o di élite che non fanno emergere altri. O spesso ancora altri non si avvicinano per non “acciaccare” i piedi a coloro che già ci sono entrando in uno strano gioco delle parti che sa più di politica partitica di poltrone, che di pastorale cristiana! Gesù si scaraventa contro questo sistema! Lui stesso è il Figlio del Padre “vignaiolo” mandato a morire per questa “politica” religiosa. Oppure tu sei invidioso perché io sono buono? La bontà di Dio che è Padre sta proprio in questo: considerare tutti suoi figli, chiamati a considerarsi tutti fratelli, non fratelli di seria A o serie B: ma fratelli tutti! La logica del “padrone del vigna”, cioè la logica di Dio, sta propio nella frase finale della parabola: Così gli ultimi saranno primi e i primi, ultimi. Se nelle nostre comunità diminuiscono i fedeli, oltre a tanti altre complesse motivazioni, c’è anche questa: molti “finti umili’ si sentono e fanno i primi e si arrogano il di più! La vera umiltà di mettersi a fare ciò che veramente serve fare e di non lasciare spazio a nuove forze, crea questa stessa situazione della parabola! Bisogna darsi da fare con coraggio e sentirci tutti missionari! Nessuno vale più degli altri, nessuno ha più diritto di altri!
Domenica 17 Settembre 2023
Dal Vangelo secondo Matteo (Mt 18,21-35)
In quel tempo, Pietro si avvicinò a Gesù e gli disse: «Signore, se il mio fratello commette colpe contro di me, quante volte dovrò perdonargli? Fino a sette volte?». E Gesù gli rispose: «Non ti dico fino a sette volte, ma fino a settanta volte sette.
Per questo, il regno dei cieli è simile a un re che volle regolare i conti con i suoi servi. Aveva cominciato a regolare i conti, quando gli fu presentato un tale che gli doveva diecimila talenti. Poiché costui non era in grado di restituire, il padrone ordinò che fosse venduto lui con la moglie, i figli e quanto possedeva, e così saldasse il debito. Allora il servo, prostrato a terra, lo supplicava dicendo: “Abbi pazienza con me e ti restituirò ogni cosa”. Il padrone ebbe compassione di quel servo, lo lasciò andare e gli condonò il debito.
Appena uscito, quel servo trovò uno dei suoi compagni, che gli doveva cento denari. Lo prese per il collo e lo soffocava, dicendo: “Restituisci quello che devi!”. Il suo compagno, prostrato a terra, lo pregava dicendo: “Abbi pazienza con me e ti restituirò”. Ma egli non volle, andò e lo fece gettare in prigione, fino a che non avesse pagato il debito.
Visto quello che accadeva, i suoi compagni furono molto dispiaciuti e andarono a riferire al loro padrone tutto l’accaduto. Allora il padrone fece chiamare quell’uomo e gli disse: “Servo malvagio, io ti ho condonato tutto quel debito perché tu mi hai pregato. Non dovevi anche tu aver pietà del tuo compagno, così come io ho avuto pietà di te?”. Sdegnato, il padrone lo diede in mano agli aguzzini, finché non avesse restituito tutto il dovuto.
Così anche il Padre mio celeste farà con voi se non perdonerete di cuore, ciascuno al proprio fratello».
MEDITAZIONE
Ecco l’Agnello di Dio che toglie il peccato del mondo
Il peccato è un debito. Tutti siamo debitori nei confronti di Dio, quasi tutti abbiamo “debiti”, cioè farsi perdonare da altri; quasi tutti abbiamo dei “debitori”, gente che è “in debito” con noi perché ci “ha portato via” qualcosa che era nostro, ci ha fatto male sul serio… Non esiste nessuno che non abbia un debito, si tratta di debito verticale perché è stato contratto con Dio, superiore ad ogni debito orizzontale contratto con gli uomini e, nei confronti di Dio, è una somma impossibile da restituire. Gesù è venuto a portare nel mondo una novità assoluta che prima, nella Bibbia, non c’era. Prima, nell’antico testamento, c’era il pagamento per i propri peccati contro Dio – anche la Chiesa storicamente è scivolata in questa pratica non evangelica – e tra gli uomini vigeva la legge del taglione: … occhio per occhio, dente per dente, mano per mano, piede per piede, bruciatura per bruciatura, ferita per ferita, livido per livido (Esodo 21,24-25). Gesù annuncia qualcosa di sconvolgente e fortemente impegnativo, annuncio che ancora noi oggi, uomini e donne del nuovo testamento, fatichiamo o rifiutiamo di ascoltare e di mettere in pratica, annuncia: il perdono secondo la logica di Dio, cioè il perdono gratuito sempre. Potremmo dire che Gesù è il messaggero del perdono del Padre, ma che Lui stesso ne è il messaggio, ne è il perdono stesso: ne è il capro espiatorio di tutti i peccati commessi dal l’umanità nello spazio e nel tempo: ecco l’Agnello di Dio, ecco colui che togli il peccato del mondo, dice Giovanni Battista alla gente indicando Gesù e, così, dice anche il sacerdote a Messa presentando Gesù Eucaristia. Gesù è il corpo del perdono di Dio: il Padre celeste, volendo perdonare l’umanità e annunciare questo stile di vita, ha fatto si che il perdono prendesse corpo nel suo Figlio Gesù Cristo nel grembo della vergine Maria che, scelta senza peccato, ha portato alla luce e cresciuto il Corpo del perdono, Gesù Cristo. Ecco perché in questa Chiesa la veneriamo come Madonna dei debitori… Maria che non ha avuto “debiti” con Dio e con nessuno, intercede per noi quale avvocata di grazia e dona al mondo il corpo del perdono. L’umanità vecchia cerca il “corpo del reato” per incolpare e far pagare il debito a chi pecca; Maria invece, Madonna dei debitori, concepita senza peccato: dona al mondo il Corpo del perdono, il Figlio di Dio. La madonna dei debitori ci aiuti a comprendere che per noi, il “perdono”, non è un tema morale, un valore tra gli altri, uno tra i precetti cristiani – almeno non soltanto – ma Cristo stesso che ha donato il perdono fino all’atto supremo di morire in croce: Egli è stato trafitto per i nostri delitti, schiacciato per le nostre iniquità. Il castigo che ci dà salvezza si è abbattuto su di lui; per le sue piaghe noi siamo stati guariti (Isaia 53,5).
Senza il perdono siamo perduti
La Madonna, concepita senza peccato, senza debiti, che intercede per noi debitori, ci stimola a comprendere che il perdono è Cristo stesso, è una forma della Sua presenza; anche quando il perdono avviene tra non Cristiani: è lo stesso seme del Verbo (come dice s. Agostino) che è in tutti gli uomini dalla creazione e, dentro ciascuno, porta questa impronta dell’unica cosa che può dare speranza all’ umanità, gioia e crescita: il perdono. Senza il perdono siamo perduti. Senza il perdono l’umanità non può avere speranza di sopravvivenza sia in senso di serenità spiritale e intellettuale, sia in senso storico. La richiesta di Pietro, di perdonare fino a sette volte, è una richiesta importante perché “sette” è un numero che indica la pienezza cioè “sempre”, perdonare sempre: ma è pur sempre un numero! Gesù annuncia un perdono, settanta volte sette, cioè senza misura! La generosità di Pietro nel perdonare è bellissima, ma riguarda ancora una mentalità mercantile (qual pescatore che era), una mentalità del do ut des. Lo sentiamo spesso dire da chi subisce torti: la pazienza ha un limite, adesso basta, gli ho perdonato tutto ma questa volta no…. Insomma non siamo capaci spesso di perdonare. Gesù non alza il livello morale, ma porta, nel suo corpo, l’annuncio che la Misericordia di Dio non ha misura. Ci accorgiamo allora che il perdono non è solo uno sforzo Cristiano, quanto invece uno sforzo di comunione con Cristo corpo del perdono. Essere in comunione con Cristo, come disponibilità del cuore alla sua grazia , che arriva anche là dove sembra che Lui non ci sia: non può che farci assimilare questa capacità di perdono. È molto difficile riuscire a perdonare con le sole nostre forze umane, per quanto siamo stati creati ad immagine di Dio; vivendo in comunione con Cristo la possibilità di perdonare diventa quasi automatica. Quanto è difficile ad esortare di perdonare! Questo perché gli altri non possono accettare prediche o catechesi sul perdono da chi è peccatore! Solo Maria, donna concepita senza peccato, poteva donare al mondo il “sacramento” del perdono, Gesù Cristo. Allora il perdono è fuori dalla logica umana, viene dalla illogica volontà di Dio di amarci oltre ogni misura. Questo testo ci invita innanzitutto a trovare dei punti di comunione con Cristo così importanti che, il perdono, sarà un nostro irragionevole ma normale costume e comportamento di vita…
La compassione e la pietà cambiano il mondo
Ma in cosa consiste il perdono? Nella parabola del Vangelo Gesù ne da una spiegazione al quanto chiara… Innanzitutto il re, che rappresenta quasi sempre Dio nelle parabole: è il creditore. Il primo servo, il primo debitore, quello più in alto, cioè io e te che ascoltiamo, è “ministro del padrone”: il servo conosce bene la mentalità del suo padrone e sa anche quanto sia generoso e, ottiene, per la pazienza e la pietà del padrone il condono totale da tutti i suoi debiti. Noi sappiamo bene che, per l’amore smisurato che Dio ha per noi, il Suo perdono per noi è a disposizione da quando Gesù è morto in croce come capro espiatorio e, risorgendo, ha tolto la possibilità al peccato di toglierci la vita eterna; come sappiamo bene anche che perdonare è al quanto difficile ed arduo… Il servo conosceva il padrone ma non è entrato nella sua mentalità che riguarda la disponibilità del cuore, noi possiamo conoscere come Dio la pensa attraverso il Vangelo, ma è importante entrare in una costante comunione con Lui per comprendere che i nostri debiti sono rimessi per amore. Nel Padre nostro, tradotto dal greco è più eloquente, lo diciamo pregando: rimetti a noi i nostri debiti così come noi li rimettiamo a nostri debitori… Sembra essere una bilancia di una giustizia incoerente con se stessa: sono perdonato se perdono, se perdono sono perdonato… L’incoerenza è data dal fatto che il perdono è un atto di amore, quindi non ci torna indietro niente, ancor peggio restiamo come parte lesa ed offesa senza ricevere giustizia umana. Perdonato se perdono, non è un ricatto morale quanto invece un entrare nella pietà e nella compassione che Dio ha per me, per chi mi ha offeso e per tutta l’umanità. Appunto serve una vita in Cristo che sia realmente comunione con Lui. Se no, non si riesce a condonare nostro malgrado e facciamo come il servo della parabola che: malizioso prese a soffocare i suoi debitori fino al peggio che potesse ottenere. Cosa ha ottenuto? La vendetta! C’è gente che vive condannando gente, parlando male della gente, sporcando continuamente i compagni di lavoro, sporcando i vicini, i parenti… Perché non perdonano una cosa che hanno fatto a loro, o non perdonano una cosa che a loro non è piaciuta. Sembra che la ricchezza propria del diavolo sia questa: seminare l’amore al non-perdonare, vivere attaccati al non-perdonare. E il perdono è condizione per entrare in cielo (Papa Francesco). La vendetta, il “farla pagare” al nostro debitore è diabolico e ci toglie la vita! Allora il non-perdonare è una attività che uno fa contro il proprio debitore, lo mette sul proprio banco degli imputati dove noi stessi siamo Giudici, avvocati e precettori. Il non perdono è una attività contro chi ci ha fatti del male, anche tanto male, che si svolge con dei verbali processuali, fatti dalla nostra voce o sui commenti mediatici, che condanna anche solo a parole il nostro debitore; o peggio spesso sono proprio attività che, anche a mo di giustizia umana, usiamo solo come arma vendicativa. Allora il perdono non è visto come qualcosa che riguarda la vita spirituale o psicologica; spesso confondiamo il perdono con il risentimento. Il risentimento è un sentimento negativo che non possiamo non avere con chi ci ha fatto del male, un sentimento ovvio, che siamo chiamati nel tempo a includere nel nostro cuore come croce… Ma il non perdono è una vera e propria attività vendicativa di far pagare il torto commesso. La pressione emotiva che abbiamo oggi è molto alta, più di cinquanta anni fa, tanto da farci, mascherandosi di giuste ragioni: come precettori di giustizia, pedagoghi dell’educazione altrui, maestri di sapienza infusa, facendoci perdere l’annuncio del Vangelo: Non dovevi anche tu aver pietà del tuo compagno, così come io ho avuto pietà di te? Vedere l’umanità tutta, anche quella che reputiamo brutta, con occhi della compassione e della pietà di Dio significa veramente cambiare il mondo, evangelizzarlo, rendergli la speranza è la gioia per cui è stato creato.
La parabola che Gesù ci racconta (cfr Mt 18,23-35) è molto chiara: perdonare. Che il Signore ci insegni questa saggezza del perdono, che non è facile. E facciamo una cosa: quando noi andremo a confessarci, a ricevere il sacramento della Riconciliazione, prima chiediamoci: “Io perdono?”. Se sento che non perdono, non devo fare finta di chiedere perdono, perché non sarò perdonato. Chiedere perdono significa perdonare. Sono insieme, ambedue. Non possono separarsi. E coloro che chiedono perdono per sé stessi, come questo signore al quale il padrone perdona tutto, ma non danno perdono agli altri, finiranno come questo signore (cfr vv. 32-34). «Così anche il Padre mio celeste farà con voi se non perdonerete di cuore ciascuno al proprio fratello» (v. 35) (Papa Francesco).
Domenica 10 Settembre 2023
Dal Vangelo secondo Matteo (Mt 18,15-20)
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:
«Se il tuo fratello commetterà una colpa contro di te, va’ e ammoniscilo fra te e lui solo; se ti ascolterà, avrai guadagnato il tuo fratello; se non ascolterà, prendi ancora con te una o due persone, perché ogni cosa sia risolta sulla parola di due o tre testimoni. Se poi non ascolterà costoro, dillo alla comunità; e se non ascolterà neanche la comunità, sia per te come il pagano e il pubblicano.
In verità io vi dico: tutto quello che legherete sulla terra sarà legato in cielo, e tutto quello che scioglierete sulla terra sarà sciolto in cielo.
In verità io vi dico ancora: se due di voi sulla terra si metteranno d’accordo per chiedere qualunque cosa, il Padre mio che è nei cieli gliela concederà. Perché dove sono due o tre riuniti nel mio nome, lì sono io in mezzo a loro».
MEDITAZIONE
Qualcuno pecca
Qualcuno commette una colpa… Qualcuno pecca. Oggi siamo soliti dire che siamo tutti peccatori: ma nell’ottica della perfezione, il Perfetto è solo Dio! Dio è misericordioso quindi, tutto apposto… La concezione di peccato per il Vangelo, quindi per le prime comunità cristiane, non era così minimalista come la nostra; il peccatore era colui che aveva compiuto, nonostante la scelta fondamentale del battesimo, un qualcosa che aveva rotto la fraternità con qualcuno della comunità o con la chiesa intera. Davanti ad una azione grave la comunità, se il peccatore non si era allontanato lui stesso dalla Chiesa, faceva capire che il peccatore era fuori dalla comunione della Chiesa: la scomunica aveva solo valore illustrativo e pedagogico, mai punitivo. La grande responsabilità della comunità era quella di riportare la “pecorella” dispersa nell’ovile della Chiesa, doveva ammonirlo e lo faceva senza odio, senza spirito di vendetta, senza critica o rancore. Da qui nasce il sacramento della riconciliazione che ripristina l’uomo, che nonostante fosse battezzato e avesse fatto la scelta fondamentale per il Vangelo e la chiesa, cadeva in peccato e, veniva, dopo un percorso di penitenza – pedagogica spirituale – riammesso nella comunità che celebrava i sacramenti. La confessione sacramentale, ancora oggi, serve a questo: da una parte visualizza la Misericordia di Dio ottenutaci sulla croce da Cristo (ma è dato di fatto anche senza confessarsi), dall’altra (nella realtà del sacramento) ci riconcilia e reinserisce nella comunità che celebra i sacramenti… Normalmente, la confessione, è ritenuta un atto di “pulizia spirituale” e questo va bene fintanto che non ne abusiamo con la scrupolosità o peggio ancora trasformandola in una “doccia emozionale”. Poi ci sono le confessioni di persone allontanatesi totalmente da Cristo o dalla Chiesa: allora questo sacramento vede la sua piena ragione di esistere.
Certamente bisognerebbe tornare ad una concezione di opzione fondamentale per il Vangelo e per la Chiesa, per comprendere e vivere la comunione e comprendere il senso del peccato che rompe la comunione… Non aver mai fatto questa scelta fondamentale di comunione con Cristo nella Chiesa, nonostante si ricevono i sacramenti, resta difficile se non impossibile comprendere la realtà del peccato come atto di divisione, di rottura con la Chiesa. Cristo buon pastore accetta sempre le sue pecorelle, ma sta anche a noi fare la scelta di seguire seriamente il buon pastore.
Assolto se colpevole
Gesù, sul Vangelo, ci offre una procedura di “correzione fraterna” di verità fatta nella carità (Ef 4,15); ma la carità non è mai disgiunta dalla verità. La correzione fraterna è un grande atto di amore: l’assolto è tale perché è colpevole. Questa procedura di dialogo con chi rompe con il fratello e con la comunità, prima a quattrocchi, poi davanti a due o tre testimoni, poi davanti alla comunità: non è una procedura processuale o di chiarimento. Oggi la Chiesa non può scivolare in processi come li fa il mondo o usare il “chiarimento” tra persone per fare la pace. Questa procedura del Vangelo non è un processo o chiacchierate per chiarire, ma un tentativo di recuperare il fratello alla verità! E, alla fine, se l’errante decide di restare fuori, bisogna trattarlo come un pagano o un pubblicano, e, ciò, non significa escluderlo dal proprio amore: Gesù è amico di pubblicàni e peccatori (11,19), è venuto a salvare ciò che era perduto (v. 11) e invierà i suoi discepoli verso tutti i pagàni (28,19). La Chiesa ha ricevuto lo stesso potere di Gesù – tutto quello che legherete sulla terra sarà legato in cielo, e tutto quello che scioglierete sulla terra sarà sciolto in cielo – e deve usarlo allo stesso modo: la preghiera comunitaria chiede la forza al Padre per vivere il dono di aiutarsi a stare insieme per il meglio. Forse la missione della Chiesa occidentale, fatta di tanti battezzati, comunicati – insomma che hanno ricevuto i sacramenti – è innanzitutto proprio questo: di ricondurre gli smarriti a casa, cercare la pecorella smarrita e ricondurla all’ovile; questo ci richiede di discostarci dalla mentalità di questo mondo fatta di giudizi morali, di gogne (il correttore automatico mi aveva messo la parola “fogne” invece di “gogne”, ma forse era più adatta) mediatiche e quant’altro! Perché, nell’ottica della Misericordia di Dio: viene assolto il colpevole, chi non è colpevole non ha bisogno di essere assolto. Questo richiede un criterio diverso con cui guardiamo al peccatore, questo ci richiede l’atto di amore della correzione fraterna. Mi chiedo: in questo mondo in cui tutti dicono di non essere permalosi o hanno miriadi di giustificazioni e motivazioni ai loro errori: è ancora possibile la correzione fraterna? Certamente richiede più attenzione e amore, ancor più tempo e attesa affinché il male si sedimenti con il bene (ricordiamo la parabola del grano e della zizzania) per poi parlare a tempo opportuno… Oggi siamo anche precipitosi a correggere o a rompere i rapporti con il prossimo! Oggi non ci accorgiamo che le nostre ragioni, portate in un certo modo, creano tensioni che dividono… Oggi assolutizziamo i nostri diritti e le nostre ragioni senza possibili confronti che mirino alla comunione dell’amore nell’ottica del Vangelo. Che Gesù buon Pastore ci aiuti in questa missione così importante e ci renda docili alla correzione.
La responsabilità di essere Chiesa sacramento
Venire a far parte della Chiesa, ricevere i sacramenti in Essa: è una grande responsabilità! Ci richiede un cambio di vita, ci richiede la conversione. È una scelta fondamentale che ricopre tutta la nostra esistenza. La Chiesa ha la consapevolezza, dal Vangelo, che Cristo gli dice sempre e comunque: tutto quello che legherete sulla terra sarà legato in cielo, e tutto quello che scioglierete sulla terra sarà sciolto in cielo. Una responsabilità che non può lasciarci indifferenti. Realmente, lo ha detto Gesù formulando la Chiesa: dove sono due o tre riuniti nel mio nome, lì sono io in mezzo a loro. Questo ci fa comprendere che nella comunità che celebra, soprattuto nei sacramenti, c’è presente il Signore risorto: ecco perché i sacramenti non sono cosa nostra, sono cosa del Vangelo! Venire a far parte di questa realtà sacramentale che si chiama Chiesa, in qualche modo ci compromette in tutte le nostre scelte… Molto dovremmo riflettere sul perché e come riceviamo i sacramenti. Qui non c’è in gioco solo una ritualità e delle preghiere, ma la concezione stessa della vita in tutte le sue scelte, così come la propone il Vangelo con tutti i suoi valori. Si può vivere la fede in Dio fuori dalla Chiesa o così anche al suo interno? Rispondiamo: si. Si può vivere secondo le nostre scelte di vita all’interno dei sacramenti della Chiesa? Rispondiamo: dipende…. Perché la vita sacramentale è un di più esponenziale che richiede responsabilità ed espropriazione: come se, in qualche modo, la nostra vita non fosse più nostra e fosse dedicata e donata a Cristo, buon Pastore.
Domenica 3 Settembre 2023
Dal Vangelo secondo Matteo (Mt 16,21-27)
In quel tempo, Gesù cominciò a spiegare ai suoi discepoli che doveva andare a Gerusalemme e soffrire molto da parte degli anziani, dei capi dei sacerdoti e degli scribi, e venire ucciso e risorgere il terzo giorno.
Pietro lo prese in disparte e si mise a rimproverarlo dicendo: «Dio non voglia, Signore; questo non ti accadrà mai». Ma egli, voltandosi, disse a Pietro: «Va’ dietro a me, Satana! Tu mi sei di scandalo, perché non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini!».
Allora Gesù disse ai suoi discepoli: «Se qualcuno vuole venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua. Perché chi vuole salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia, la troverà.
Infatti quale vantaggio avrà un uomo se guadagnerà il mondo intero, ma perderà la propria vita? O che cosa un uomo potrà dare in cambio della propria vita?
Perché il Figlio dell’uomo sta per venire nella gloria del Padre suo, con i suoi angeli, e allora renderà a ciascuno secondo le sue azioni».
Meditazione
Nel mistero della sofferenza: il dono della redenzione
Gesù annuncia che il suo pellegrinaggio alla città santa di Gerusalemme concluderà con il suo sacrificio: doveva soffrire molto… ed essere ucciso. Sono parole molto forti che colpiscono al cuore i discepoli che non comprendono il suo atto sacerdotale dell’offerta di se stesso a Dio Padre. Come può Dio permettere tutto questo? E perché proprio dagli esponenti religiosi – anziani, dei capi dei sacerdoti e degli scribi – doveva subire questa sorte così atroce? Perché soffrire e addirittura morire a causa del rapporto con Dio e con gli uomini di fede? Gesù annuncia il kerigma, cioè che patirà, morirà e risorgerà… Il dispiacere dei discepoli che prende voce in Pietro è grande: se ne andrà… come faremo senza di Lui? Dietro chi andremo senza Gesù? Nessuno potrà sostituire il Suo essere unico, pienamente quanto divino. Gesù annuncia la morte e resurrezione ma il cuore dei discepoli è oscurato da un dispiacere di strappo forte che avverrà, perché ancora non hanno fatto esperienza della resurrezione di Lui… Dopo la morte e resurrezione: la vita continua, serve il coraggio di continuare a seguirlo. Così capiranno che niente al mondo potrà separarci dall’ vita in Cristo, i discepoli sperimenteranno dopo, con il dono dello Spirito che, o è dice San Paolo: chi accuserà gli eletti di Dio? Dio giustifica. Chi condannerà? Cristo Gesù, che è morto, anzi, che è risuscitato, sta alla destra di Dio e intercede per noi? Chi ci separerà dunque dall’amore di Cristo? Forse la tribolazione, l’angoscia, la persecuzione, la fame, la nudità, il pericolo, la spada? Io sono infatti persuaso che né morte né vita, né angeli né principati, né presente né avvenire, né potenze, né altezza né profondità, né alcun’altra creatura potrà mai separarci dall’amore di Dio, in Cristo Gesù, nostro Signore (Rm 8, 31b-35.37-39). Non aver paura dei cambiamenti della vita, della sofferenza, della morte, perché seguirà sempre la resurrezione!
La fede che può uccidere la libertà di Dio
La passione e la morte di Gesù avverrà per causa di “politica religiosa”, il suo processo e la sua condanna architettata da gente in alto nella vita di fede… In questi anziani, dei capi dei sacerdoti e degli scribi insiste ancora oggi il male di chi vive e fa vivere la fede a modo suo a suon di imposizioni, divieti, esasperazioni ed assolutizzazioni. Gesù è diverso da quelli e da questi religiosi! Gesù è libero e propone sempre una proposta di fede libera; non lega nessuno ed venuto nel mondo per scioglierci anche dal legaccio della morte… Per essere cristiani autentici traccia un percorso che è quello del sacrificio, la via della croce. Pietro gli vuole bene e si fa portavoce del dissentire del suo sacrificio, ma, Dio, ha dei disegni che l’umanità non riesce a comprendere e spesso, se li comprende, non riesce ad accettare: la salvezza passa attraverso il sacrificio della croce. Pietro vuole imporre la sua filantropia e la sua religiosità a Gesù Cristo, come volevano farlo anche gli anziani, dei capi dei sacerdoti e degli scribi e, la risposta di Gesù è imbarazzante per chi crede di credere: «Va’ dietro a me, Satana! Tu mi sei di scandalo, perché non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini!». Spesso la comunità cristiana, forse anche quella di Matteo, destinataria di queste pagine, soffre dello stesso male di Pietro in quel momento e di quegli uomini della religiosità ebraica pensando di imporre i propri schemi e aspettative religiose! Oh quante assolutizzazioni nella Chiesa ci sono di idee, di schemi, di programmi spirituali… Quando l’uomo e la donna di fede assolutizzano il proprio rapporto con Dio e con la Chiesa diventano uno scandalo a Gesù Cristo! Esiste nella Chiesa spesso, una idolatria vera e propria di concetti e di modi di seguire che con il Vangelo – che viene letto, meditato e pregato – non c’entrano proprio niente! Pietro come quegli anziani, dei capi dei sacerdoti e degli scribi vuole e vogliono imporre a Gesù il modo di salvare l’umanità, vogliono insegnare ad amare cristianamente, vogliono sapersi élite spirituali e morali ma, la botta di Gesù è forte: «Va’ dietro a me, Satana! Tu mi sei di scandalo, perché non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini!». Perché tutto questa energia e forte eloquenza anche quasi offensiva di Gesù per correggere questi mali? Perché una certa religiosità, voleva e vuole imporre, con prepotenza il “modo, il tempo e lo spazio” di come si compie l’opera di Dio: ma la prepotenza è il contrario della umiltà che invece è la virtù umana fondamentale per essere autentici discepoli di Cristo. È importante essere onesti con noi stessi e nella nostra comunità, che spesso si può autofomentare in fervorini emotivi o deliranti e referenzialisti in appartenenze quanto memo sataniche, quanto più umane, travestite con la “copertina” del Vangelo… Quanti sussidi di schemi religiosi o figurativamente di idee “cristiane” che sono come dei libri religiosi, reali o ideali, che hanno la copertina del Vangelo ma il contenuto ne è estraneo pur non sembrandolo… Quanto è difficile ammetterlo che quando porti avanti con forza ma senza umiltà il la tua fede: non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini!
La libertà di Dio e della fede
Il cammino dietro a Cristo è libero, umile, dietro un Pastore imprevedibile che ci chiede di tagliare con le nostre assolutizzazioni e le nostre idee anche e specialmente religiose per seguire realmente Lui, nonostante le nostre sofferenze: Se qualcuno vuole venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua. Rinnegare se stessi non è facile, rinnegare le nostre idee, il come viviamo la fede assolutizzando dei sistemi: non è facile. Non è facile rinnegare le nostre assolutizzazioni e il nostro “ego religioso” e seguire il Signore. Hai una croce? Hai più croci? Queste non sono, e non siano, un blocco e un appesantimento nel cammino, anzi: la croce ci mette nel vero cammino di Gesù Cristo che con la sua santa Croce ha redento il mondo! La nostra croce non può fermare il nostro cammino dietro a Gesù perché è proprio il “veicolo” che ci accompagna alla salvezza nostra e di chi ci sta intorno… Quando vediamo delle notizie, o dei documentari, o dei film in cui viene messa drammaticamente e pericolosamente a repentaglio la vita stessa, si vede come l’umanità voglia salvarsi dalla morte! Solo quando la morte si avvicina a noi, lo spavento o la disperazione, ti fanno anelare, pregare, lottare per salvarsi! Quando tutto va bene non ce ne importa poi tanto! Portare la croce significa dedicare vita, dolori e morte al Signore, significa comprendere: chi vuole salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia, la troverà! Oggi siamo immersi un una società che vuole vederci perfetti, senza lacune, senza rughe, senza difetti inermi ed esterni alla persona: una società che si sogna e si vuole senza croce, una società che mutila pesantemente la libertà! Oh croce beata, che sei lo strumento di salvezza di tutta l’umanità, che sei scandalo oggi anche nelle classi delle scuole! Che male farai in chi ti guarda? Anche nella Chiesa, nella comunità cristiana aneliamo a questa follia della perfezione: tutti pronti a guardarti quando farai il prossimo passo falso, tutti a vedere i tuoi errori (ciechi sui propri), tutti ad indicare i peccati degli altri facendo un discernimento accurato ed escludendo la caratteristica maggiore di Dio che è la Misericordia! La coscienza comune vuole farci togliere la croce della nostra sofferenza, delle nostre imperfezioni, delle nostre lagune e dei nostri peccati ma, è proprio quella che da credibilità al rito e salvezza all’ umanità. Vuoi una Chiesa perfetta? Senza croci? Senza macchia? Muori allora così la trovi in Paradiso! Maledetto giudizio, più satanico che umano, iniquo discernimento diabolico travestito da discernimento Cristiano, che entra nelle coscienze religiose facendo un discernimento di perfezione delle anime di Dio, senza sapere che le anime non sono Dio ed hanno: delle croci da portare, dei sacrifici da soffrire, dei peccati da superare. Gesù Cristo ha scelto proprio il difetto più grande morendo da impostore sulla croce: Lui senza peccato trattato da peccatore peggiore! Quando capiremo che la croce, la vita dura fatta di sofferenze, di lacune, di imperfezioni, di peccati è la vita reale di chi è chiamato a seguire il Signore?
Chi ha Dio non manca di nulla
In questa visione si libertà del credere, di accettazione traballante della croce, per seguire il Signore veramente, affinché questa sequela dia senso pieno alla nostra vita è la vera gioia in Lui: bisogna non aver paura di “sprecare” la vita per Gesù. Il Cristiano è uno capace di comprendere che seguire Gesù è si bello ma anche una scelta al quanto drastica anche se avessimo la possibilità di guadagnare il il mondo intero. Il Vangelo chiude con gli stessi sentimenti con cui è cominciato: saper tagliare, saper congedarsi da progetti di vita, da relazioni, da situazioni, da scelte e quant’altro… cioè quel che sembra perdere la vita per guadagnarla davvero! La vera gioia libera il cuore da tutto: l’atto di fede sta nel lasciare, mollare, congedarsi da molto e da tutto per fidarci che il Signore ci darà la vita piena, il senso pieno della nostra storia. Che cosa un uomo potrà dare in cambio della propria vita? Per chi spendiamo la nostra vita, per chi o per cosa la viviamo? Il cristianesimo non è un hobby o una partecipazione come ad un club o ad un auditorium… Il Cristiano autentico lascia, si congeda, taglia con ciò che sembrava fargli guadagnare la vita, sembra perdere la vita ma poi vive, seguendo Gesù, la vita piena! Non sopravvive più ma vive: “Nulla ti turbi, nulla ti spaventi. Tutto passa, solo Dio non cambia. La pazienza ottiene tutto. Chi ha Dio non manca di nulla: solo Dio basta! Il tuo desiderio sia vedere Dio, il tuo timore, perderlo, il tuo dolore, non possederlo, la tua gioia sia ciò che può portarti verso di lui e vivrai in una grande pace” (Santa Teresa d’Avila).
Domenica 27 Agosto2023
Dal Vangelo secondo Matteo (Mt 16,13-20)
In quel tempo, Gesù, giunto nella regione di Cesarèa di Filippo, domandò ai suoi discepoli: «La gente, chi dice che sia il Figlio dell’uomo?». Risposero: «Alcuni dicono Giovanni il Battista, altri Elìa, altri Geremìa o qualcuno dei profeti».
Disse loro: «Ma voi, chi dite che io sia?». Rispose Simon Pietro: «Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente».
E Gesù gli disse: «Beato sei tu, Simone, figlio di Giona, perché né carne né sangue te lo hanno rivelato, ma il Padre mio che è nei cieli. E io a te dico: tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa e le potenze degli inferi non prevarranno su di essa. A te darò le chiavi del regno dei cieli: tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato nei cieli, e tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli».
Allora ordinò ai discepoli di non dire ad alcuno che egli era il Cristo.
MEDITAZIONE
Chi è Gesù per il mondo?
Gesù pone una domanda ai discepoli che sembra opinionista su di se, ma che invece richiede una risposta che afferma chi è il Cristiano autentico. Riconoscendo Gesù Cristo Figlio del Dio vivente, l’uomo e la donna che scelgono di seguirlo sul serio, non hanno più la stessa opinione della gente… Chi è Gesù per la gente? Una domanda che non richiede solo una risposta sulla sua identità, ma anche una risposta sul Valore di Cristo stesso dell’umanità. Le statistiche odierne danno i numeri su una Chiesa sempre più vuota, sempre meno seguita… Curioso che però celebriamo ancora molti battesimi e la maggior parte dei funerali di chi muore vogliono sia celebrato in Chiesa… Ma la gente crede o no a Gesù Cristo? Cristo significa l’unto, l’eletto: Salvatore. La gente ha le risposte più disparate sui livello delle idee su Gesù Cristo, come all’epoca di Gesù stesso…
Chi è Gesù per te?
Ma quando Gesù rivolge la domanda ai discepoli – «Ma voi, chi dite che io sia?» – la riposta deve cambiare il suo peso specifico. La stessa domanda per la gente, Gesù la rivolge ai discepoli e a noi credenti – «Ma voi, chi dite che io sia?» – Questo “ma voi” in qualche modo estrapola i discepoli dalla gente aspettandosi una risposta diversa, estrapola anche noi dal mondo per aspettarsi una risposta diversa perché, come è scritto nella preghiera colletta iniziale della messa: Dio unisce in un solo volere le menti dei fedeli. Questo “ma voi” estrapola anche noi dal pensiero della gente definendo che la fede di chi segue autenticamente Gesù fa si, come dice ancora la preghiera colletta che: tra le vicende del mondo là siano fissi i nostri cuori dove è la vera gioia. Essere Cristiano, pur facendo parte del mondo con tutte le sue vicende, significa vivere con la consapevolezza che i nostri cuori siano fissi su Gesù Cristo! L’atto di fede sta nel seguirlo perché in Lui troviamo la vera gioia. Allora la preghiera di inizio della messa ci rende consapevoli che spesso non gliela facciamo a credere in Cristo come vorremmo o come dovremmo e, non possiamo non chiedere a Dio: concedi al tuo popolo di amare ciò che comandi e desiderare ciò che prometti.
Seguire Gesù…
Desiderare di seguire Gesù cambia la “grammatica” e la “matematica” della vita, apre ad un orizzonte alto, tra le vicende del nostro mondo, diverso da quello comune in cui il desiderio dei Cristiani è desiderare ciò che desidera Cristo. Questo rapporto esclusivo e forte con Dio apre il cuore alla consapevolezza che Cristo è il Figlio di Dio, il Vivente! San Pietro, uomo semplice senza studi teologici, esprime la sua fede con la definizione più alta che un uomo posso dare in merito: «Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente». Questa definizione, dice Gesù, non viene da una speculazione intellettuale o empirica – dalla carne e dal sangue – ma dalla rivelazione diretta di Dio nel cuore dell’uomo che desidera seguirlo: «Beato sei tu, Simone, figlio di Giona, perché né carne né sangue te lo hanno rivelato, ma il Padre mio che è nei cieli». La disponibilità ed il desiderio di Pietro, come di ciascun uomo, di seguire Gesù veramente: non può che rivelare chi è Gesù e non può che rendere “beati”, cioè felici: Beato sei tu! Pietro si “butta” a rispondere come si è “buttato” a seguire Gesù senza aver paura di “buttare” la sua vita per Lui: qui si trova la beatitudine, la vera gioia, la libertà ed il senso della vita.
Su cosa o su chi è fissato il tuo cuore?
Questo discorso ci fa meditare, così come è stato per la comunità cristiana per cui Matteo evangelista ha scritto, su uno spostamento su chi o cosa il nostro cuore è fisso. Siamo più portati a vivere guardando a noi stessi, alle vicende del nostro mondo sia in senso globale che personale. Viviamo un egocentrismo in cui crediamo che noi siamo il centro dell’universo anche con i nostri sentimenti altruistici… Ci fa male sentirselo dire ma l’egocentrismo della nostra società, anche nel suo essere altruista, fa si che il nostro cuore sia fissato sulle nostre vicende tristi e gioiose, tra progetti di vita e quant’altro orienta il nostro cuore su noi stessi e sui nostri affetti: tutto questo fa sì che assolutizziamo le vicende del mondo globale e del nostro mondo personale… la sfida della fede ci faccia chiedere a Dio: là siano fissi i nostri cuori dove è la vera gioia. Perché spesso rincorriamo una gioia non vera, non realizzabile ma che il nostro cuore ha assolutizzato senza neanche spesso accorgersene. Allora la risposta è quella di fissare fuori dal mondo lo sguardo del nostro cuore, fuori dalle nostre assolutizzazioni anche apparentemente giuste, per guardare a Cristo: senso della nostra vita e senso della storia dell’umanità! Dire Cristo, dire che Dio è il Vivente impegna a togliere il nostro sguardo da noi stessi e dalle nostre vicende personali per guardare a Lui come Colui capace di darci la vera gioia che noi rincorriamo per noi stessi e per i nostri affetti più cari: là siano fissi i nostri cuori dove è la vera gioia.
Il popolo che ama e desidera Dio legato da Dio stesso
Gesù, invitandoci a fissare lo sguardo su di Lui, oltre a rivelarci il Padre, il senso della nostra vita e la nostra vera identità, definisce anche l’identità della Chiesa. Un popolo – chiesa significa “comunione” – che non è accomunato solo da valori e idee – tanto meno ideologie – ma che è unita da Dio; San Paolo chiama la Chiesa “Corpo mistico di Cristo”. La comunione della Chiesa, popolo di cui facciamo parte, non è frutto di un nostro sforzo, quanto invece dell’azione di Dio quando ciascuno di noi segue Dio veramente… È un po’ come la “prova del nove”: se siamo in comunione con la Chiesa, con tutto il popolo di Dio, significa che abbiamo un rapporto reale con Dio, se non lo siamo dobbiamo interrogarci se siamo realmente in comunione con il Signore perché, questa comunione, non è uno spirito sociale o filantropico: ma mistico! Un legame creato da Dio stesso. Questa è la Chiesa: un popolo di credenti, peccatori, legati da Dio stesso in terra e in cielo! Ecco perché sulla Chiesa, i suoi numeri di carenza, i suoi scandali e quanto ci spinge a pensare che stia finendo, Gesu, distrugge ogni pessimismo cosmico e sterile: le potenze degli inferi non prevarranno su di essa! Come afferma io Concilio Vaticano II: Cristo è la luce delle genti … la Chiesa è, in Cristo, in qualche modo il sacramento, ossia il segno e lo strumento dell’intima unione con Dio e dell’unità di tutto il genere umano (Lumen Gentium, 1): perciò la Chiesa che è il popolo di Dio è Corpo mistico di Cristo e Tempio dello Spirito santo. Le potenze degli inferi non prevarranno su di essa, perché, essa, è unita da Dio misticamente e non dagli uomini…
Domenica 20 Agosto 2023
Dal Vangelo secondo Matteo (Mt 15,21-28)
In quel tempo, partito di là, Gesù si ritirò verso la zona di Tiro e di Sidòne. Ed ecco una donna Cananèa, che veniva da quella regione, si mise a gridare: «Pietà di me, Signore, figlio di Davide! Mia figlia è molto tormentata da un demonio». Ma egli non le rivolse neppure una parola.
Allora i suoi discepoli gli si avvicinarono e lo implorarono: «Esaudiscila, perché ci viene dietro gridando!». Egli rispose: «Non sono stato mandato se non alle pecore perdute della casa d’Israele».
Ma quella si avvicinò e si prostrò dinanzi a lui, dicendo: «Signore, aiutami!». Ed egli rispose: «Non è bene prendere il pane dei figli e gettarlo ai cagnolini». «È vero, Signore», disse la donna, «eppure i cagnolini mangiano le briciole che cadono dalla tavola dei loro padroni».
Allora Gesù le replicò: «Donna, grande è la tua fede! Avvenga per te come desideri». E da quell’istante sua figlia fu guarita.
MEDITAZIONE
Gesù sconfina
Un Vangelo che presenta una mossa strana che fa Gesù: va a Tiro e Sidone, nel territorio pagano dove non era consentito ai Rabbi predicare… Gesù sconfina e, Matteo Evangelista, vuole evidentemente esortare e ricordare alla sua comunità che il cristianesimo non è solo per gli ebrei che si convertono ma anche per i pagàni. Questo, a noi come Chiesa, ci sprona ad uscire nel mondo cosiddetto neo pagano: il Vangelo è per tutti, Cristo è venuto a salvare tutti. Spesso ci chiudiamo nelle nostre parrocchie, pensando che qui inizia e finisce la nostra vita di fede, in comunità ci nutriamo ma, non siamo una setta, siamo chiamati ad ascoltare il mondo pagano, a rapportarci con questo mondo che ha, forse, più idoli – anche se non in senso religioso – del mondo al tempo di Gesù e delle prime comunità cristiane. Dobbiamo saper vivere tra i pagàni non con spirito di giudizio ma con spirito di amore come lo è il miracolo di Gesù in ogni Vangelo. Ogni miracolo è un atto di amore fatto da Dio, ogni atto di amore è un miracolo fatto nel nome di Dio!
Gesù incontra la disperazione
Gesù incontra una donna cananea che è nella disperazione più grande: la sua figlia è gravemente malata. E, questa donna, da all’inizio l’esperienza dei disperati: Gesù non la ascolta! Non le rivolse neppure la parola. Ma, questa donna, non si ferma, fa un cammino nella disperazione… Fermarci nella disperazione, quando non sentiamo Gesù che nemmeno ci rivolge la parola, è la tentazione più facile che abbiamo tutti. Questa donna disperata, nonostante tutto, non ha perso completamente la speranza e insegue Gesù urlando e piangendo per la sua disperazione, tanto che i discepoli non ne possono più ed esortano Gesù ad intervenire: Esaudiscila, perché ci viene dietro gridando! Quella dei discepoli è una preghiera un po’ interessata per il fastidio che questa donna gli faceva inseguendoli e gridando nel pianto: Pietà di me, Signore, figlio di Davide! Gesù mette alla prova la sua fede, si ferma e gli spiega per chi è il Vangelo: Non sono stato mandato se non alle pecore perdute della casa d’Israele! Ma questa donna fa un atto di umiltà incredibile annunciandosi come più che perduta: i cagnolini mangiano le briciole che cadono dalla tavola dei loro padroni. Nella disperazione, se inseguiamo Gesù e lo preghiamo, acquistiamo l’umiltà necessaria per ricordarci che siamo solo uomini e donne, siamo solo umanità che ha bisogno di qualche “briciola” dell’Amore di Dio!
Poche briciole di Dio…
Davanti a questo bisogno delle “molliche” di Dio, Gesù fa un asserto forte: grande è la tua fede! Nel percorso disperato che fa questa donna dietro a Gesù, non gli chiede la guarigione della figlia ma soltanto fa la sua professione di fede e chiede: Signore, aiutami! Impariamo da questa donna il cammino disperato del credente: non chiedere che Dio si abbassi alle nostre soluzioni o richieste prossime ma solo: Signore, aiutami! Questo atteggiamento di umiltà fa chiedete solo aiuto al Signore: questa donna è crocifissa nella sua disperazione e chiede solo aiuto: questa è la vera fede di chi soffre! È da sulla croce che l’umanità disperata, se chiede aiuto a Dio: riceve il massimo, la sua figlia infatti guarisce. Da sulla croce Gesù si affida al Padre e dopo la morte: risorge. La croce risulta essere lo strumento più potente per il miracolo, se ci mettiamo solo nelle mani di Dio e chiediamo aiuto… Scendi dalla croce se sei il Figlio di Dio! La tentazione è quella di chiedere di annullarci la croce ma, solo l’abbandono in Dio ci farà sperimentare che attraversando la disperazione dietro di Lui, pregandolo solo di aiutarci – cioè affidando a Lui la nostra causa e la nostra vita – il Signore può intervenire. La vera fede è questo accontentarci delle “briciole” di grazia che riceviamo da Dio, chiedendo solo e soltanto il suo aiuto: solo così il Signore, grazie alla nostra fede, fa nel tempo quello che noi non ci aspettavamo… eppure i cagnolini mangiano le briciole che cadono dalla tavola dei loro padroni… quindi fai tu oh Signore!
Domenica 13 Agosto 2023
Dal Vangelo secondo Matteo (Mt 14,22-33)
[Dopo che la folla ebbe mangiato], subito Gesù costrinse i discepoli a salire sulla barca e a precederlo sull’altra riva, finché non avesse congedato la folla. Congedata la folla, salì sul monte, in disparte, a pregare. Venuta la sera, egli se ne stava lassù, da solo.
La barca intanto distava già molte miglia da terra ed era agitata dalle onde: il vento infatti era contrario. Sul finire della notte egli andò verso di loro camminando sul mare. Vedendolo camminare sul mare, i discepoli furono sconvolti e dissero: «È un fantasma!» e gridarono dalla paura. Ma subito Gesù parlò loro dicendo: «Coraggio, sono io, non abbiate paura!».
Pietro allora gli rispose: «Signore, se sei tu, comandami di venire verso di te sulle acque». Ed egli disse: «Vieni!». Pietro scese dalla barca, si mise a camminare sulle acque e andò verso Gesù. Ma, vedendo che il vento era forte, s’impaurì e, cominciando ad affondare, gridò: «Signore, salvami!». E subito Gesù tese la mano, lo afferrò e gli disse: «Uomo di poca fede, perché hai dubitato?».
Appena saliti sulla barca, il vento cessò. Quelli che erano sulla barca si prostrarono davanti a lui, dicendo: «Davvero tu sei Figlio di Dio!».
MEDITAZIONE
L’amore di Cristo ci spinge nella “barca di Pietro”
La folla era diventata veramente tanta, avevano mangiato il pane moltiplicato perciò c’era tanta ressa… Allora subito Gesù costrinse i discepoli a salire sulla barca: subito Gesù costrinse… Un gesto veloce e repentino, un gesto proprio di chi “guida” capace di “costringere”… Non un “costringere” che limita la libertà, quanto invece un costringere come quello che il papà o la mamma fanno con il bambino per salvarlo da un rischio imminente o per farlo crescere… Qualcosa che è necessario fare per proseguire il cammino della storia. Gesù li costringe a salire sulla barca, “barca” che i padri della Chiesa dei primi secoli hanno sempre visto come simbolo della Chiesa. Ogni volta che i vangeli parlano di Gesù che passa da una riva all’altra, che passa dal mare alla terra ferma: è sempre simboleggiata la Pasqua di passione, morte e resurrezione. Dopo la predicazione, Gesù, costringe i discepoli a salire sulla barca della chiesa, a “lanciarli” a mare aperto e, Lui, sale al Padre sul monte. Quando la Chiesa evangelizza, annuncia il Kerigma della morte e resurrezione di Cristo, è presente il Signore stesso risorto che è alla destra del Padre e, la Chiesa, barca di Pietro, naviga nei tempi storici tra bonacce e tempeste. Ancora una volta siamo chiamati a non essere folla, ma a sentirci e farci discepoli di Gesù: a salire sulla barca della Chiesa nonostante le tempeste e fidarci di Lui…
Dal rapporto con il Padre: l’amore per l’umanità
Questo Vangelo ci fa vedere anche l’umanità forte e libera di Gesù. Sistema i discepoli, congeda la folla e sale sul monte a pregare fino a sera, da solo. I discepoli, come noi, forse non hanno capito il perché di questi movimenti e della sua “fuga” sul monte. Ma si vede come Gesù abbia avuto almeno tre versanti in cui spendere se stesso: il rapporto con il Padre nella preghiera, la vita con i discepoli con cui ha avuto un rapporto stretto e i discorsi alle folle… Il rapporto con il Padre mette nel cuore un forte amore per l’umanità, che poi – in qualche modo – bisogna riconsegnare al Padre: Gesù va sul monte e prega per tutti perché il Padre gli ha consegnato tutti! Noi cristiani anche siamo chiamati, come Lui, ad avere dei momenti di rapporto intenso con Dio sul “monte” della preghiera, noi da soli con Dio.
La barca nella tempesta e Cristo risorto
La barca benedetta di Pietro però affronta un momento drammatico: la tempesta mette paura per il rischio di affondarla. Quante volte, la nostra vita, la chiesa, la famiglia sembra passare attraverso delle tempeste che sembrano dire la parola “fine”, che fanno dire: è finita, non se ne può più, non è più possibile fare nulla, sono, siamo perduti… Ma Gesù non si dimentica della barca di Pietro, non si dimentica della Chiesa, non si dimentica di me o di te… Ma ci viene incontro… Ai discepoli gli sembra un fantasma e prendono una ulteriore paura. Nella vita, nonostante nelle tempeste il Signore si da presente, a volte, abbiamo anche paura di Lui. Ma Lui sa camminare sulle acque agitate, Lui sa camminare sopra il mare del male, sa camminare sopra ciò che ci da paura. Pietro audace chiede di camminare sulle acque con Gesù, e lo fa… finché il suo sguardo è rivolto sul volto di Gesu anche Pietro cammina sulle acque agitate che mettono paura. Se guardiamo a Gesu, se manteniamo il nostro sguardo verso di Lui con la preghiera, la meditazione, i sacramenti e quanto ci fa “vedere” il suo volto: anche noi possiamo camminare, con paura ma con fede, sulle acque agitate. Ma se distogliamo lo sguardo da Gesù, come è successo anche a Pietro: affondiamo… Rimane sempre la fede che sa che il Signore è Signore del cielo e della terra e, la sua Signoria di risorto, mette sotto lo sguardo del Padre tutto ciò che succede nel mondo, nella nostra vita e nella Chiesa. Quando la “barca” ci sembra andare affondo nelle tempeste della vita, se guardiamo a Lui morto e risorto, Signore della Storia, la nostra paura trova la fede e la speranza che donano la serenità del cuore nonostante la tempesta violenta, dolorosa e paurosa.
Domenica 6 Agosto 2023
Dal Vangelo secondo Matteo (Mt 17,1-9)
In quel tempo, Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni suo fratello e li condusse in disparte, su un alto monte. E fu trasfigurato davanti a loro: il suo volto brillò come il sole e le sue vesti divennero candide come la luce. Ed ecco apparvero loro Mosè ed Elia, che conversavano con lui.
Prendendo la parola, Pietro disse a Gesù: «Signore, è bello per noi essere qui! Se vuoi, farò qui tre capanne, una per te, una per Mosè e una per Elia». Egli stava ancora parlando, quando una nube luminosa li coprì con la sua ombra. Ed ecco una voce dalla nube che diceva: «Questi è il Figlio mio, l’amato: in lui ho posto il mio compiacimento. Ascoltatelo».
All’udire ciò, i discepoli caddero con la faccia a terra e furono presi da grande timore. Ma Gesù si avvicinò, li toccò e disse: «Alzatevi e non temete». Alzando gli occhi non videro nessuno, se non Gesù solo.
Mentre scendevano dal monte, Gesù ordinò loro: «Non parlate a nessuno di questa visione, prima che il Figlio dell’uomo non sia risorto dai morti».
MEDITAZIONE
L’esperienza di fede e bella ma faticosa
Dopo l’annuncio della sua morte e resurrezione, ai discepoli, gli resta innanzitutto impressa la morte di Lui… Aveva fatto tanti segni: la folla che lo ascoltava, i miracoli, gli esorcismi… Come è possibile che Gesù gli abbia parlato della sua morte? Nel brano che leggiamo Gesù ha voluto prendere i discepoli per fargli fare una esperienza in una montagna alta che li mettesse davanti alla realtà in cui si trovavano. Gesù di Nazareth, un uomo, una esperienza umana, creduto da molti il messia, ma da pochi il Figlio di Dio: ha portato i discepoli a dare questa esperienza di preghiera dove, su quel monte, hanno scoperto che seguire Lui è una esperienza umana in cui è nascosta la Presenza divina.
Quanto è bello salire sulla montagna, ma anche quanto è faticoso! L’esperienza cristiana è veramente bella quanto, se reale, faticosa. Richiede una salita continua tra stanchezza e bei panorami: la preghiera, la meditazione, l’ascolto della Parola di Dio, sono veramente bei panorami che ci svelano sempre cose nuove della vita, ma anche la fatica rende veritieri i nostri passi. Conquisti una vetta con soddisfazione ma anche con fatica. Sentiamo in noi la stessa chiamata di raggiungerne delle vette nella nostra vita di fede? Non accontentiamoci di rimanere a valle, tra i paesi e le citta, ma, ogni tanto, come faceva Gesù con i discepoli: estraniamoci per fare una esperienza nella anche se faticosa della sua Presenza, della sua Presenza di Risorto.
L’esperienza spirituale
Gesù fu trasfigurato: un verbo al passivo… Chi lo ha trasfigurato? Il Padre con l’azione dello Spirito santo! Gesù non fa mai niente da se stesso, fa tutto in comunione con il Padre e con l’opera dello Spirito santo. Il Padre trasfigura Gesù manifestando ai discepoli la sua verrà essenza: la Presenza divina. Incontrare Gesù, essere Cristiani è una esperienza umana: ma in questa esperienza ci troviamo davanti a questa realtà così luminosa del Figlio di Dio fatto uomo nella nostra esperienza umana, spingendoci ad un punto di percezione della divinità? I tre discepoli di Gesù si sono lasciati prendere da Lui per fare una esperienza nuova e forte della sua Presenza: lasciamoci prendere anche noi affinché la nostra esperienza cristiana ci faccia incontrare il Cristo morto e risorto. Dai tempi dell’antico testamento, le profezie, avevano indicato questo Messia che in Gesù Cristo si è manifestato: Mose’ ed Elia testimoniano che tutte le profezie sono riferite a Lui, alla sua Pasqua di morte e di resurrezione. In questa prospettiva noi, nella meditazione della Parola di Dio, anche nell’antico testamento, apprendiamo sempre di più e meglio la persona di Cristo: tutte le profezie e gli accadimenti dell’antico testamento sono infatti riferiti a Lui! L’esperienza cristiana, come quella che hanno fatto i discepoli sul monte della trasfigurazione, non può che portare a quella che si chiama: spiritualità, che in se contiene anche l’aspetto mistico dell’incontro con Dio. Quanto è importante oggi riscoprire questo aspetto mistico della fede! Gustare la presenza di Dio nella Preghiera, nei sacramenti, nella sacra scrittura … Quanto è importante oggi che la nostra preghiera si apra alla trascendenza provocando nel nostro spirito suggestioni portatrici di un messaggio divino. Facciamo tre tende, una per te, una per Mose e una per Elia… Propone san Pietro che si sente timoroso ma felice davanti a quella visione! Ma poi la nube, la voce del Padre che invita ad ascoltare io Suo Figlio, restano le immagini più imperanti: l’esperienza spiritale cristiana non cerca mistificazioni che vengano dal basso, per sentirci dei profeti o dei veggenti o peggio ancora dei mistici introspettivi del prossimo. Tanto che i veri mistici sono gelosi di quello che il Signore gli fa conoscere e comprendere. La vera via mistica spiritale è salire sul monte della preghiera evitando ogni mistificazione!
L’esperienza dell’immagine
Questa pagina così bella di Vangelo ci fa comprendere una cosa molto importante della spiritualità cristiana: che ogni preghiera, meditazione, sacramento e riflessione sulla Parola di Dio è incontro con Cristo risorto! Soffermiamoci sulle immagini del Vangelo che portano in se dei messaggi attraverso le loro visioni. Il Vangelo ci offre delle “visioni” che fanno scaturire in noi dei sentimenti e dei pensieri: in questi incontriamo un po’ Cristo risorto! Dopo quel momento sconvolgente ma anche soprannaturale della esperienza dei discepoli con Gesù: ad un certo punto “l’incantesimo” si ferma, tutto ritorna alla realtà! Vedono quello che vedevano prima della trasfigurazione: solo l’uomo Gesù di Nazareth. Solo una esperienza umana in cui però, lasciati prendere da Gesù, si sono lasciati andare ad incontrare la realtà divina! L’esperienza spirituale è fatta per concludersi e darci la forza di tornare giù “dalla montagna”: tornare alla realtà spesso lontana da Dio che siamo chiamati a trasfigurare con l’amore. Possa, Gesù Eucaristia, farci fare sempre di più esperienza della sua divina presenza nella realtà umana. Come Gesù prese i discepoli e li porto a fare esperienza della trasfigurazione, così cogliamo l’iniziativa di Dio a rivelarsi nella storia dell’umanità e nella nostra storia.
Domenica 30 Luglio 2023
Dal Vangelo secondo Matteo (Mt 13,44-52)
In quel tempo Gesù disse ai suoi discepoli: «Il regno dei cieli è simile a un tesoro nascosto nel campo; un uomo lo trova e lo nasconde; poi va, pieno di gioia, vende tutti i suoi averi e compra quel campo. Il regno dei cieli è simile anche a un mercante che va in cerca di perle preziose; trovata una perla di grande valore, va, vende tutti i suoi averi e la compra. Ancora, il regno dei cieli è simile a una rete gettata nel mare, che raccoglie ogni genere di pesci. Quando è piena, i pescatori la tirano a riva, si mettono a sedere, raccolgono i pesci buoni nei canestri e buttano via i cattivi. Così sarà alla fine del mondo. Verranno gli angeli e separeranno i cattivi dai buoni e li getteranno nella fornace ardente, dove sarà pianto e stridore di denti. Avete compreso tutte queste cose?». Gli risposero: «Sì».
Ed egli disse loro: «Per questo ogni scriba, divenuto discepolo del regno dei cieli, è simile a un padrone di casa che estrae dal suo tesoro cose nuove e cose antiche».
MEDITAZIONE
Il Regno nascosto: vocazione è conversione
Il punto di conoscenza delle tre corte parabole che Gesù racconta alla folla è il Regno dei cieli. Ci interessa? CI sta a cuore? Il campo, come nelle parabole precedenti del capitolo 13 di Matteo è il mondo. Il Regno di Dio è nascosto nel campo, cioè è nascosto nel mondo. Certamente è un tesoro per alcuni ma per altri non lo è… Perché ciò che è un tesoro che trovi e fai tuo: ti cambia la vita! L’uomo della prima parabola vende tutti i suoi averi e compra quel campo solo perché ha trovato quel tesoro che gli cambia la vita! La reazione di colui che trova la perla o il tesoro è praticamente uguale: l’uomo e il mercante vendono tutto per acquistare ciò che a loro sta più a cuore. Con queste due similitudini, Gesù si propone di coinvolgerci nella costruzione del Regno dei cieli, presentando una caratteristica essenziale della vita cristiana, della vita del Regno dei cieli: aderiscono al Regno dei cieli coloro che sono disposti a giocarsi tutto, che sono coraggiosi (Papa Francesco, ti racconto il Vangelo, p. 152). Tutta la sua attenzione non è sui suoi affetti o sui suoi averi, ma sul quel “tesoro”. La vera conversione nel seguire Cristo richiede questa scelta radicale. Dalla chiamata di Gesù ai discepoli, alla conversione dei primi cristiani: la vocazione e la conversione coincidono nel fare di Cristo l’unico tesoro fonte di gioia vera della propria vita. Chi si battezza entra a far parte del Regno di Dio e ciò significa che questa scelta è così radicale di entrare a far parte della Chiesa, che si fa esperienza di essere già nel Regno di Dio, per cui lascia tutto ed entra in comunità, divenendone membro. Dunque è un’interpretazione molto comune delle conversioni, quali che siano le conversioni, perché si può aver capito qualcosa a proposito della Chiesa, ma poi si possono avere anche delle intuizioni non sempre condivisibili, ma che comportano, in chi ne è convinto, la relativizzazione di tutto il resto: lasciano padre, madre, famiglia, patria, soldi, tutto e si buttano a capofitto in questa nuova realtà, dove pensano di trovare finalmente la felicità che cercano (I. Gargano, Lectio divina sul Vangelo di Matteo, p.208.). Non sembra esserci una via di mezzo, una via media tra quella del Regno dei cieli e quella del mondo: o si segue il sentiero dell’Uno o si seguono le strade dell’altro… Allora la chiamata per tutti a seguire Gesù Cristo, è anche la chiamata stessa alla conversione ad una realtà che ci prende tutta la vita, ogni nostra scelta e stile. Non è richiesta una omologazione per entrare a far parte del Regno dei cieli, nessuna emulazione di niente e di nessuno: ma solo scavare nel “campo” del mondo perché è qui che quel Regno è nascosto. Il Regno dei cieli non è appariscente, non sembra essere a portata di mano ma c’è e va cercato. La fede innanzitutto è ricerca che prende tempo e spazio, poi diventa scelta per tutta la vita sia in senso di tempo che di intensità.
Il Regno nascosto: piccolo ma prezioso
La seconda parabola, simile alla prima, ci offre anche altri spunti, altri significati. Il cercatore di perle preziose è come il cercatore del tesoro: anche egli spende tutto il suo tempo per la ricerca e trovata la perla preziosa vende tutto e la compra. C’è sempre infondo questo cambiamento di vita che, non riguarda i peccati o chissà cosa fare o non fare, quanto invece la scelta fondamentale e radicale di seguire il Signore. Per quest’altra corta parabola Gesù sceglie il simbolo di una perla. La perla è una “pietrificazione” di carbonato di calcio di tessuti viventi… Molti hanno sviluppato la motivazione della perla dandogli proprio il significato che il Regno dei cieli è trovare Gesù morto e risorto. Il Regno di cieli, infatti, in Gesù vero Dio e vero uomo, ha reso presente nella Sua persona la Presenza di Dio in questo mondo: morendo, risorgendo e ascendendo al cielo ci ha lasciato la sua presenza come una “perla” preziosa. La “perla” è piccola, ma preziosa. La realtà del Regno dei cieli non è cosa divulgata per grandi eventi o grandi propagande: ma è una realtà piccola come di fatto piccolo è il cristianesimo oggi nel nostro mondo. Le reti della terza parabola ben ci fanno comprendere che il lavoro dei pescatori è solo gettare le reti e tirarle poi su… I pesci da se restano racchiusi nella rete: è un fatto naturale. Così a noi sta ricercare il Regno di Dio, come il “tesoro” della vera gioia della nostra vita, ricercarlo nel mondo perché è qui che è nascosto, così come la perla che è molto piccola e a fatica si nota da lontano e cosi come la rete che è sotto acqua e non si vede… C’è questo nascondimento del Regno di Dio, questo esser piccolo agli occhi del mondo, questo essere sommerso. Una volta trovato, attenzione, c’è sempre il rischio di perderlo quindi è sempre importante ricercarlo di nuovo e ritrovarlo. Le parabole di questi vangeli fanno riferimento anche ad una realtà un po’ inquietante, che cerchiamo di tenere lontana da noi, che cerchiamo di alienare in un cristianesimo buonista: ci sarà un giudizio universale. La giustizia di Dio è misericordia in questo mondo come lo è nell’altro ma, alla fine, i conti li facciamo con noi stessi davanti a Dio. Vivere una vita lontana dalla ricerca del Regno di Dio, tenerlo sotterrato, non cercato, sommerso significa incontrarlo dopo la morte senza mai averlo conosciuto o aver tentato di conoscerlo: allora staremo male davanti alla prospettiva di esserci perso qualcosa di piccolo, che pensavamo irrilevante o non vero, ma che alla fine si mostrerà come la scelta più preziosa che l’uomo o la donna non hanno voluto, oppure hanno voluto, fare…
Questo tesoro dello scriba, due righe aggiunte alle tre corte parabole, non fanno alto che dirci quale è la mappa, la carta, per trovare il tesoro del Regno. C’è infatti una carta che ci indica dove il tesoro del Regno dei cieli si trova in questo mondo, ci indica dove scavare nel campo del mondo e del nostro cuore per trovare questo Regno di Dio. La mappa non può che essere la Sacra scrittura che, meditata, scrutata, pregata: ci fa comprendere dove “scavare” per trovare la Presenza del Regno di Dio. Cosicché, chi vive dietro a Gesù, “gioca” ad una “caccia al tesoro” continua trovando nuovi spazi, punti, tempi e persone che riempiono il cuore. La Parola di Dio: ci da sempre nuovi punti in cui scavare per trovare di quello stesso tesoro del Regno la sua versione sempre più profonda, ci fa trovare la perla sempre più preziosa, ci fa “pescare” sempre di più nella vera realtà della evangelizzazione della Chiesa. Dalla Parola di Dio, fatta di parole antiche, attingiamo il messaggio per noi qui oggi.
Questa esperienza della ricerca e dell’incontro con Dio è spesso accompagnata dalla presa di consapevolezza di una presenza che da sempre ci accompagna. Una Presenza che riempie la nostra vita e che ci abita nel profondo. Riportiamo qui un testo di S.Agostino tratto da Le Confessioni, significativo non poco per noi in questo percorso di ricerca.
“Dove dunque ti trovai, per conoscerti? Certo non eri già nella mia memoria prima che ti conoscessi. Dove dunque ti trovai, per conoscerti, se non in te, sopra di me? […]. Tardi ti amai, bellezza così antica e così nuova, tardi ti amai. Sì, perché tu eri dentro di me e io fuori. Lì ti cercavo. Deforme, mi gettavo sulle belle forme delle tue creature. Eri con me, e non ero con te. Mi tenevano lontano da te le tue creature, inesistenti se non esistessero in te. Mi chiamasti, e il tuo grido sfondò la mia sordità; balenasti, e il tuo splendore dissipò la mia cecità; diffondesti la tua fragranza, e respirai e anelo verso di te, gustai e ho fame e sete; mi toccasti, e arsi di desiderio della tua pace.”
(Agostino, Le Confessioni, X, 26-27)
Domenica 23 Luglio 2023
Dal Vangelo secondo Matteo (Mt 13,24-43)
In quel tempo, Gesù espose alla folla un’altra parabola, dicendo: «Il regno dei cieli è simile a un uomo che ha seminato del buon seme nel suo campo. Ma, mentre tutti dormivano, venne il suo nemico, seminò della zizzania in mezzo al grano e se ne andò. Quando poi lo stelo crebbe e fece frutto, spuntò anche la zizzania. Allora i servi andarono dal padrone di casa e gli dissero: “Signore, non hai seminato del buon seme nel tuo campo? Da dove viene la zizzania?”. Ed egli rispose loro: “Un nemico ha fatto questo!”. E i servi gli dissero: “Vuoi che andiamo a raccoglierla?”. “No”, rispose, “perché non succeda che, raccogliendo la zizzania, con essa sradichiate anche il grano. Lasciate che l’una e l’altro crescano insieme fino alla mietitura e al momento della mietitura dirò ai mietitori: Raccogliete prima la zizzania e legatela in fasci per bruciarla; il grano invece riponètelo nel mio granaio”».
Espose loro un’altra parabola, dicendo: «Il regno dei cieli è simile a un granello di senape, che un uomo prese e seminò nel suo campo. Esso è il più piccolo di tutti i semi ma, una volta cresciuto, è più grande delle altre piante dell’orto e diventa un albero, tanto che gli uccelli del cielo vengono a fare il nido fra i suoi rami».
Disse loro un’altra parabola: «Il regno dei cieli è simile al lievito, che una donna prese e mescolò in tre misure di farina, finché non fu tutta lievitata».
Tutte queste cose Gesù disse alle folle con parabole e non parlava ad esse se non con parabole, perché si compisse ciò che era stato detto per mezzo del profeta:
«Aprirò la mia bocca con parabole,
proclamerò cose nascoste fin dalla fondazione del mondo».
Poi congedò la folla ed entrò in casa; i suoi discepoli gli si avvicinarono per dirgli: «Spiegaci la parabola della zizzania nel campo». Ed egli rispose: «Colui che semina il buon seme è il Figlio dell’uomo. Il campo è il mondo e il seme buono sono i figli del Regno. La zizzania sono i figli del Maligno e il nemico che l’ha seminata è il diavolo. La mietitura è la fine del mondo e i mietitori sono gli angeli. Come dunque si raccoglie la zizzania e la si brucia nel fuoco, così avverrà alla fine del mondo. Il Figlio dell’uomo manderà i suoi angeli, i quali raccoglieranno dal suo regno tutti gli scandali e tutti quelli che commettono iniquità e li getteranno nella fornace ardente, dove sarà pianto e stridore di denti. Allora i giusti splenderanno come il sole nel regno del Padre loro. Chi ha orecchi, ascolti!».
MEDITAZIONE
La giustizia di Dio non è quella umana
Il Vangelo ci pone tre parabole per metterci davanti alla realtà del Regno di Dio, per farci capire di cosa si tratti… Innanzitutto è come un uomo che che possedeva un campo, poi definito padrone e poi il Signore… Il Regno di Dio si percepisce andando oltre la realtà umana: nell’esperienza di fede vediamo solo uomini e donne, che pregano, che si spendono per gli altri, che celebrano, ma dietro alla loro presenza orante c’è la presenza e l’attività del Cristo risorto.
Gesù ha già sparso questo seme buono che però ha un “nemico”, il nemico dell’umanità, che non ha rubato (come nella parabola del seminatore) ma ha voluto rovinarlo seminandoci la zizzania. La zizzania, un termine che riassume tutte le erbe nocive, che infestano (Papa Francesco, ti racconto il Vangelo, p. 149). La prima parabola ha tre tempi: il tempo della semina, il tempo del sonno e del nemico, e, il tempo della mietitura. Gesù stesso spiega la sua stessa parabola da cui possiamo capire, noi come i discepoli che lo seguono e non come la folla, il senso ed il messaggio di quanto leggiamo e ascoltiamo. Tutto verte nel contemplare il rapporto tra l’uomo padrone del campo, cioè Cristo seminatore del campo che è il mondo e, quello che succede nel tempo del sonno (quando sembra che Lui sia assente) per poi vederne come a finire la mietitura è la fine del mondo. In mezzo a questo discorso c’è “la giustizia di Dio” che va oltre lo spazio ed il tempo, nonché le modalità, diverse se non opposte, della giustizia umana. Dio ci ha creati tutti per mezzo del Verbo di Dio (Gv 1,1) che fattosi uomo, ci ha anche redento. Tutti siamo stati creati a sua immagine, in tutti gli uomini di ogni razza, tempo, luogo, religione, pensiero, insomma in tutta, propria tutta l’umanità, è presente l’immagine del Verbo di Dio, una sua parte, un suo seme… il seme del Verbo è innato in tutto il genere umano (S. GIUSTINO, 2 Apologia, 8,1.). Il nemico dell’umanità non ha potuto rubare questo seme vitale che abbiamo in noi fin dalla creazione, allora ha seminato anche la zizzania… Ma chi è il nemico dell’umanità? Chi è il tuo nemico? Ecco la parabola ci rende veramente fratelli tutti, a non vedere nessuno come nemico se non il nemico di Dio. Si può leggere in questa parabola una visione della storia. Accanto a Dio – il padrone del campo – che sparge sempre e solo semente buona, c’è un avversario che sparge la zizzania per ostacolare la crescita del grano. Il padrone agisce apertamente, alla luce del sole, e il suo scopo è un buon raccolto; l’altro, l’avversario, invece, approfitta dell’oscurità della notte e opera per invidia, per ostilità, per rovinare tutto. L’avversario al quale si riferisce Gesù ha un nome: è il diavolo, l’oppositore per antonomasia di Dio. (Papa Francesco, ti racconto il Vangelo, p. 150). Perciò ci accorgiamo che nella nostra stessa umanità, sia a livello generale, diremmo mondiale, sia in quello nostro personale c’è oltre il bene, riflesso della creazione di Dio, anche il male seminato dal diavolo. In noi abita un condominio di pensieri ed opere buone ma anche malvagie, abita il bene ed il male. Non sta a noi ad estirpare il male ma a Dio: Dio ha cura di tutte le cose, difende dall’accusa del giudice ingiusto (cfr. Sap 12,13). Dio è capace di togliere il male ma, come il padrone del campo della parabola non fa estirpare la zizzania, così Dio non estirpa il male! L’uomo, quando crede che può estirpare il male, sentendosi addirittura chiamato da Dio a farlo, si fa giudice ingiusto. Lo scontro in realtà non deve essere tra noi ed il male, ma tra Dio ed il male! Il diavolo, nemico dell’umanità è innanzitutto nemico di Dio e, per quanto noi possiamo esorcizzarlo, solo Dio ci può riuscire. Ma Dio, come il padrone del campo, dice di aspettare. La giustizia di Dio non è frettolosa e sommaria, anche se meticolosa, come la nostra… Non tocca a noi. Non è in questo tempo storico che si deve bruciare la zizzania. «Avverrà tutto alla fine del mondo». Sbalordisce i servi di quel padrone che lascia crescere grano e zizzania, come sbalordisce noi la tolleranza umanamente inconcepibile di Dio! L’uomo vorrebbe il campo, il mondo, se stesso, perfetto! Dio no, lascia correre, lascia scorrere il tempo. Noi con le nostre azioni di sicurezza e di giustizia vogliamo intervenire sul male, ma ci accorgiamo che quando interveniamo sul male dobbiamo intervenire contro gli uomini, nei quali, anche nei peggiori, c’è il seme del Verbo di Dio. Quel padrone sembra non fidarsi dei servi sul togliere la zizzania, perché Dio sa che noi saremmo capaci di gettare, come suol dirsi: il bambino con l’acqua sporca.
L’intenzione dei servi è quella di eliminare subito il male, cioè le persone malvagie, ma il padrone è più saggio, vede più lontano: essi devono sapere attendere, perché la sopportazione delle persecuzioni e delle ostilità fa parte della vocazione cristiana. Il male, certo, va rigettato, ma i malvagi sono persone con cui bisogna usare pazienza.
Non si tratta di quella tolleranza ipocrita che nasconde ambiguità, ma della giustizia mitigata dalla misericordia. Se Gesù è venuto a cercare i peccatori più che i giusti, a curare i malati prima ancora che i sani (cfr Mt 9,12-13), anche l’azione di noi suoi discepoli dev’essere rivolta non a sopprimere i malvagi, ma a salvarli. E li, la pazienza… Non collabora bene con Dio chi si mette a caccia dei limiti e dei difetti degli altri, ma piuttosto chi sa riconoscere il bene che cresce silenziosamente nel campo della Chiesa e della storia, coltivandolo fino alla maturazione. E allora sarà Dio, e solo Lui, a premiare i buoni e punire i malvagi (Papa Francesco, ti racconto il Vangelo, p. 150-151). La tolleranza ad oltranza di Dio ci spiazza ma ci faccia riflettere sul vero concetto di giustizia umana che rischia di gettare tutto l’uomo, anche la sua parte migliore, solo perché ha fatto male…
La via della piccolezza
Il Regno di Dio è come il più piccolo dei semi, quello di senape. Siamo stati creati ad immagine del Verbo di Dio, abbiamo in noi il suo seme di vita e, Dio, amandoci, si è incarnato inseminando la Vergine Maria: Dio nel grembo di una donna! Nel suo primo stadio cellulare, dal concepimento, l’essere umano è davvero piccolo, ma lì c’è vita umana! In quello stato così piccolo, nel grembo della Vergine Maria, dal concepimento, c’è stata la Presenza immane di Dio! Gesù stesso ha scelto la via della piccolezza, la via dell’essere servo, del rivelarsi come Agnello di Dio. Dio si è fatto “seme” umano per donare all’ umanità la vita eterna! Il momento più forte del suo farsi piccolo è quello della morte in croce: li, la Sua piccolezza, si è fatta totale, si è compiuta in questo mondo; ma da lì a tre giorni la resurrezione ha fatto crescere un nuovo “albero”, quello del Regno di Dio in mezzo a noi. Sembra una piccola pianta, il cristianesimo, anzi sembra sempre più piccola e a volte anche cadente e appassita… Non ci turbi la piccolezza della Chiesa, la piccolezza della nostra fede, la pochezza delle nostre azioni, quanto invece ci consoli, ci dia gioia e speranza che l’ “albero” della vita, inaugurato nella Resurrezione di Cristo, troverà la sua grandezza nel Regno dei cieli. Quello che sembra un piccolo Cristiano in questo mondo è grande nel Regno dei cieli: fissiamo lo sguardo su questa realtà futura che siamo già chiamati qui ed ora a vivere.
La via della pochezza
Il Regno di Dio è considerato poco in questo mondo come quel poco lievito, che la donna della parabola ha messo nella farina, che ha fermentato tutta pasta dandone una quantità incredibile. Il cristianesimo è piccola cosa, fatto ti piccole azioni semplici, in atti di fede e di amore… Non siamo dei rivoluzionari manifestanti! Mi viene da ridere quando escogitiamo modalità come il mondo, per far presente al mondo il pensiero Cristiano… Siamo chiamati ad essere come lievito, tutti in piccola dose, per far fermentare tutta la pasta. Essere lievito è la missione che ci è richiesta. Non rispondiamo all’essere pochi e non ascoltati con modalità che non sono del Vangelo! Spesso siamo ridicolizzati dal mondo, peggiorando le cose, sbattendo il Vangelo in testa alle persone con una sorta di propaganda, o ancor peggio di manifestazioni che vorrebbero emozionarci per aver riempito le piazze… Quanti eventi, come Chiesa, promuoviamo per sentirci e farci vedere tanti e forti, ma poi ci accorgiamo che abbiamo riempito le piazze ma svuotato i cuori! La Chiesa è fatta di persone che ognuno nella sua piccolezza, come il lievito, viene messo nella “farina” del mondo. Il Vangelo non va propagandato, ma va fatto lievitare con un amore che faccia pensare la gente, che possa non forzare alla conversione gli altri, ma attirarli, con la forza dell’amore, a Cristo!
Domenica 16 Luglio 2023
Dal Vangelo secondo Matteo (Mt 13,1-23)
Quel giorno Gesù uscì di casa e sedette in riva al mare. Si radunò attorno a lui tanta folla che egli salì su una barca e si mise a sedere, mentre tutta la folla stava sulla spiaggia.
Egli parlò loro di molte cose con parabole. E disse: «Ecco, il seminatore uscì a seminare. Mentre seminava, una parte cadde lungo la strada; vennero gli uccelli e la mangiarono. Un’altra parte cadde sul terreno sassoso, dove non c’era molta terra; germogliò subito, perché il terreno non era profondo, ma quando spuntò il sole fu bruciata e, non avendo radici, seccò. Un’altra parte cadde sui rovi, e i rovi crebbero e la soffocarono. Un’altra parte cadde sul terreno buono e diede frutto: il cento, il sessanta, il trenta per uno. Chi ha orecchi, ascolti».
Gli si avvicinarono allora i discepoli e gli dissero: «Perché a loro parli con parabole?». Egli rispose loro: «Perché a voi è dato conoscere i misteri del regno dei cieli, ma a loro non è dato. Infatti a colui che ha, verrà dato e sarà nell’abbondanza; ma a colui che non ha, sarà tolto anche quello che ha. Per questo a loro parlo con parabole: perché guardando non vedono, udendo non ascoltano e non comprendono.
Così si compie per loro la profezia di Isaìa che dice:
“Udrete, sì, ma non comprenderete,
guarderete, sì, ma non vedrete.
Perché il cuore di questo popolo è diventato insensibile,
sono diventati duri di orecchi
e hanno chiuso gli occhi,
perché non vedano con gli occhi,
non ascoltino con gli orecchi
e non comprendano con il cuore
e non si convertano e io li guarisca!”.
Beati invece i vostri occhi perché vedono e i vostri orecchi perché ascoltano. In verità io vi dico: molti profeti e molti giusti hanno desiderato vedere ciò che voi guardate, ma non lo videro, e ascoltare ciò che voi ascoltate, ma non lo ascoltarono!
Voi dunque ascoltate la parabola del seminatore. Ogni volta che uno ascolta la parola del Regno e non la comprende, viene il Maligno e ruba ciò che è stato seminato nel suo cuore: questo è il seme seminato lungo la strada. Quello che è stato seminato sul terreno sassoso è colui che ascolta la Parola e l’accoglie subito con gioia, ma non ha in sé radici ed è incostante, sicché, appena giunge una tribolazione o una persecuzione a causa della Parola, egli subito viene meno. Quello seminato tra i rovi è colui che ascolta la Parola, ma la preoccupazione del mondo e la seduzione della ricchezza soffocano la Parola ed essa non dà frutto. Quello seminato sul terreno buono è colui che ascolta la Parola e la comprende; questi dà frutto e produce il cento, il sessanta, il trenta per uno».
MEDITAZIONE
La Parola di Dio fa uscire di “casa”
Gesù uscì di casa e … racconto’ la celebre parabola del Seminatore, il quale uscì a seminare… Gesù divin Maestro che siede a parlare all’ umanità, svolge la missione del Padre: portare la Parola di Dio, la buona novella sulla terra. L’Incarnazione del Verbo, quindi la discesa stessa di Dio nel mondo nella persona di Gesù Cristo, è un’azione di uscita di Dio da se stesso… Un atto di Amore: Dio esce dalla Sua condizione divina – Gesù uscì di casa – per portare, con il mezzo più potente che l’umanità ha semplicemente a disposizione, la ‘parola’: la Sua stessa Parola, la Parola di Dio. Per portare la sua Parola, anche noi chiamati a farlo come ha fatto Lui, siamo chiamati ad uscire di “casa”, ad uscire: dai nostri luoghi sicuri, dalle nostre sistemazioni mentali e programmatiche, dai nostri schemi familiari… Nella Parola di Dio appare costantemente questo dinamismo di “uscita” che Dio vuole provocare nei credenti. Abramo accettò la chiamata a partire verso una terra nuova (cfr Gen 12,1-3). Mosè ascoltò la chiamata di Dio: «Va’, io ti mando» (Es 3,10) e fece uscire il popolo verso la terra promessa (cfr Es 3,17). A Geremia disse: «Andrai da tutti coloro a cui ti manderò» (Ger 1,7). Oggi, in questo “andate” di Gesù, sono presenti gli scenari e le sfide sempre nuovi della missione evangelizzatrice della Chiesa, e tutti siamo chiamati a questa nuova “uscita” missionaria. Ogni cristiano e ogni comunità discernerà quale sia il cammino che il Signore chiede, però tutti siamo invitati ad accettare questa chiamata: uscire dalla propria comodità e avere il coraggio di raggiungere tutte le periferie che hanno bisogno della luce del Vangelo. La gioia del Vangelo che riempie la vita della comunità dei discepoli è una gioia missionaria (Papa Francesco, Evangelii gaudium, 20 e 21). Da quale “casa” devo uscire per portare la Parola di Dio? Quali le “mura domestiche” – spesso interiori – che non mi permettono questa libertà cristiana?
La Parola di Dio è atto di amore
La Parola di Dio non è qualcosa che possiamo tenerci per noi, non è un tesoro da custodire per se stessi e goderne… Ma va trasmessa, va seminata. Appunto è come il seme che porta frutto soltanto se sparso sulla terra. Gesù è la Parola di Dio, è il suo Verbo eterno, Lui è il seme che è morto per portare frutto e donare la vita vera al mondo. La Parola di Dio non è un contenuto da spiegare per convincere ma è come il seme che in se ha tutta la potenza della vita: la Parola di Dio è viva perché è Cristo risorto stesso! Quando viene, non spiegata o detta in un modo sistematico ed omologato ad un linguaggio, che è proprio degli uomini schematizzare, quando non è annunciata in modo freddo imperativo ma per quello che veramente è – Parola viva intrisa di amore – allora è Dio stesso che parla ed opera attraverso di noi e promette: non ritornerà a me senza effetto, senza aver operato ciò che desidero e senza aver compiuto ciò per cui l’ho mandata (Is 55,10-11). Spesso la nostra missione non trova frutti non perché il terreno è inadatto, ma perché diamo troppa importanza alla nostra “bocca”, ad annunciare cioè la Parola di Dio come pensiamo sia meglio… Ma la Parola di Dio è Cristo stesso, che, come il seme gettato sulla terra, viene accolto oppure no. Il seme quando viene a contatto con la terra diventa un tutt’uno con essa trasformandosi e trasformando la realtà che lo circonda in vita! Ogni Cristiano è, come Cristo, “seme” di Parola di Dio che si “sotterra” diventando un tutt’uno con la terra e donandogli vita. Ora, Cristo risorto, ci ha donato il Suo Spirito che è amore, quella potenza di vita divina che abbiamo dentro e che siamo chiamati non ad annunciare con la bocca, ma con un aprirci al mondo e a tutta la realtà umana fecondandola nostro malgrado… In tutto questo non può mancare un nostro rapporto continuo con la Parola di Dio fatto di meditazione, di scrutatio, di ascolto, di concettualizzazione e memorizzazione, di sacramentalizzaione (i Sacramenti sono Parola di Dio in azione). Senza un continuo rapporto con la Parola di Dio, che ci fa bene, ci fa conoscere i misteri del Regno dei cieli, come possiamo portarla al mondo? Senza un rapporto continuo con la Parola di Dio, Dio come può fecondarci? Come credo di portarla al mondo? La Parola di Dio non si porta tanto con la bocca, quanto invece immergendosi, come Gesù, nella realtà umana e facendola sentire amata, vivacizzandola, attraverso la nostra stessa vita mischiata e “interrata” nell’ umanità. Quello che è importante di questa parabola è la fecondazione! Dio ci feconda attraverso la Sua Parola ascoltata e celebrata e, noi, fecondiamo il mondo immergendosi con l’amore Cristiano in ogni realtà, anche quella che sembra più refrattaria e lontana da Dio: tanto che il seminatore della parabola “spreca” il seme anche su terreni inadeguati a portare la vita.
La Parola di Dio e la sensibilità umana
C’è il rischio, per noi, come per l’umanità di ogni tempo, di soffrire della malattia della fede che la Bibbia chiama sclerocardia: il cuore diventato insensibile. Viviamo in un’era in cui le parole corrono molto veloci, viviamo in un mondo più che essere sensibile è emotivo. Quando succede qualcosa di eclatante rimaniamo tutti costernati, sconcertati e commentiamo con tante parole, specialmente sul web, nel modo che vogliamo ma, questa, non è sensibilità quanto invece emotività; tanto che dopo qualche giorno tutto viene gettato nel dimenticatoio… Commentiamo esasperatamente fatti di cronaca, che spesso provocano anche la morte ma, siamo insensibili al fatto che, con i nostri comportamenti, anche noi potremmo uccidere; pensiamo alle morti, per esempio, della strada… Gesù parla di comprensione, della difficoltà di comprendere. Comprendere non significa solo capire, almeno in parte, ma la comprensione è qualcosa di più profondo del capire. Il capire riguarda l’intelletto, la comprensione riguarda anche il cuore. Cum-prendere è prendere in se, farci entrare non solo nella memoria, ma nel cuore, la Parola di Dio e attualizzarla nell’opera di amore, e qui c’è bisogno del cuore! Siamo tutti emotivi oggi, tutti suscettibili, ma poco sensibili. La sensibilità è propria di chi sta avanti agli altri, chi li precede con il cuore per amore: questo è il Cristiano! Il Cristiano è chiamato a combattere contro il maligno che vuole rubarci dalla Presenza di Dio! Il Cristiano è chiamato a lottare contro se stesso per l’incostanza che sopraggiunge per la tribolazione e per la persecuzione ! Il Cristiano che è chiamato a lottare nella sua vita contro la seduzione della ricchezza e la preoccupazione che sposta il senso della vita in altro invece che in Dio! Siamo chiamati da Dio a comprendere la Parola Sua, facendola costantemente entrare in noi e trasformarla in vita! Ha poco senso leggere e comprendere le scritture, ha poco senso incensare quel Libro e collocarlo su bellissimi leggii e amboni, se poi noi la traduciamo in vita vissuta in qualsiasi realtà del mondo, con la forza che è propria, non della nostra “bocca” e della nostra capacità oratoria, ma del nostro mischiarci nel mondo – come il seme nella terra – e darle vita con l’Amore.
Domenica 9 Luglio 2023
Dal Vangelo secondo Matteo (Mt 11,25-30)
In quel tempo Gesù disse:
«Ti rendo lode, Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli. Sì, o Padre, perché così hai deciso nella tua benevolenza. Tutto è stato dato a me dal Padre mio; nessuno conosce il Figlio se non il Padre, e nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio vorrà rivelarlo.
Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro. Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per la vostra vita. Il mio giogo infatti è dolce e il mio peso leggero».
MEDITAZIONE
il Padre: Signore del cielo e della terra
La prima parte del Vangelo ci inserisce nel rapporto trinitario, nella lode di Gesù al Padre. Impariamo da questo rapporto di rendimento di grazie: spesso il nostro rapporto con Dio è soltanto dedito a lamentarci con Lui su quello che non va… Ci affidiamo a Lui invocandolo nei momenti di sofferenza, ma poco vediamo quello che va bene nella nostra vita e ci asteniamo a lodarlo; peggio ancora, se le cose non vanno, se non otteniamo un miracolo ci sentiamo delusi, ci allontaniamo da Dio. Come evince Gesù, Dio Padre, è Signore del cielo e della terra, cioè nel nostro affidarci a Dio è credere che tutto succede sotto il suo sguardo provvidente. Il concetto di piccolezza di cui parla Gesù è proprio questo: non sentirci emancipati da Dio, affidarci a Lui anche quando le cose non vanno come vorremmo che vadano e offrirgliele, Lui saprà fare il nostro vero bene per noi che non riusciamo a vedere. Questo rendimento di grazie che ci inserisce nel rapporto trinitario si chiama Eucaristia: nella Messa questa offerta di grazie arriva a Lui: questo il Suo più grande miracolo. La Presenza di Dio si rivela a noi proprio nel sentirci “piccoli” davanti a Lui: il nostro campo visivo è limitato, il Suo è assoluto! L’emancipazione dell’umanità da Dio sembra ci abbia portato, negli ultimi due secoli, ad una libertà che però è sempre apparente, è precaria, ad una potenza che è comunque sempre limitata: l’uomo deve ammettere che per la maggior parte delle cose non può farci niente e, niente ha senso senza uno scopo della vita, senza un senso della vita, che trovi in Dio la sua origine ed in Lui il compimento. Dio stesso, in Gesù, ci ha indicato che: la strada della felicità non è quella della grandezza, ma quella dell’umiltà! Gesù, vero Dio e vero uomo, si è fatto piccolo, sofferente e mortale, per indicarci una via che oggi non vogliamo spesso accettare in un mondo in cui la tenacia e la potenza umana vogliamo prevalere diventando prepotenza ed egoismo esasperato… Gesù ha annunciato il contrario della prepotenza, il contrario dell’egoismo facendo di Dio il punto di forza della vita.
Figli del Padre
Conoscendo il Gesù dei vangeli, seguendo perciò la sua via della “piccolezza”, conosciamo Dio, Lui si rivela a noi sulla strada chiamata “via dell’umiltà”! L’umanità grida sempre più forte per rivendicare spesso i suoi diritti, ma l’urlo più evoluto è quello del silenzio di Cristo che condotto al macello non apri la sua bocca ma rimetteva la sua causa a colui che giudica con giustizia (cfr. 1 Pt 2,21b-25). Quanto è importante conoscere Gesù nella nostra vita! Conoscerlo nei Vangeli, nella preghiera, nella lode per la creazione e per i rapporti belli della vita! Conoscere Gesù, avere un rapporto con Lui: ci da conoscere il Padre e, questo, nella nostra vita, cambia tutto!
Padre provvidente
Poi, il discorso di Gesù, sul nostro Vangelo, cambia destinatario: non è più il Padre ma l’umanità sofferente, affaticata, oppressa. In un mondo che pensa a tutto, ci sono tanti che aiutano nel momento del bisogno, ed è stupendo. Dell’umanità e, nella Chiesa – spesso deludente per i suoi scandali – c’è ancora tanta bellezza e tanta solidarietà! In questa umanità evoluta nella solidarietà, c’è tutta la bellezza del carattere di Dio che ci ha creato e di Cristo che ci ha redento con il Suo sangue prezioso. In Cristo, la sofferenza dell’umanità affaticata ed oppressa, acquista tutto un altro significato: la salvezza! Cristo poi veramente ci dona il Suo Spirito per portare i nostri gioghi, i pesi della nostra vita: la forza per continuare la nostra “via Crucis” che ha un punto di arrivo: la salvezza nostra e dell’umanità! Vivere in Cristo è vivere il peso in modo leggero: in questo sta il nostro atto di fede. La Sua Presenza nella nostra vita davvero ci fa non assolutizzare la stanchezza e l’oppressione, ci dona la leggerezza dell’anima, la pace del cuore che nessuno può donarci!
Domenica 2 Luglio 2023
Dal Vangelo secondo Matteo (Mt 10,37-42)
In quel tempo, Gesù disse ai suoi apostoli:
«Chi ama padre o madre più di me non è degno di me; chi ama figlio o figlia più di me non è degno di me; chi non prende la propria croce e non mi segue, non è degno di me.
Chi avrà tenuto per sé la propria vita, la perderà, e chi avrà perduto la propria vita per causa mia, la troverà.
Chi accoglie voi accoglie me, e chi accoglie me accoglie colui che mi ha mandato.
Chi accoglie un profeta perché è un profeta, avrà la ricompensa del profeta, e chi accoglie un giusto perché è un giusto, avrà la ricompensa del giusto.
Chi avrà dato da bere anche un solo bicchiere d’acqua fresca a uno di questi piccoli perché è un discepolo, in verità io vi dico: non perderà la sua ricompensa».
MEDITAZIONE
Una scelta difficile, radicale ma liberante
In questo capitolo dieci del Vangelo di Matteo continua, il discorso di Gesù agli apostoli, di Matteo che scrive alla sua comunità del primo secolo, Vangelo che è per noi Chiesa di oggi: sulla identità del Cristiano. C’è questo “chi” che è un ritornello identitario su chi è il vero Cristiano. Sembra un Vangelo che chiede un radicalismo esagerato o per certi aspetti di perdita: ma è una esortazione dell’ affidarsi e del fidarsi di Dio!
Amare Dio più di quanto si amano gli affetti di questa vita, i genitori, i figli: è una cosa possibile? Cosa sta chiedendoci il Signore? La scelta di seguirlo è libera ma questa libertà ci viene richiesta anche dai legami più importanti per seguire Gesù risorto… Scegliere Dio sui genitori e sui figli, sugli affetti più importanti in delle occasioni molto semplici e quotidiane, non è scontato, spesso anche faticoso perché richiede uno strappo del cuore, un seguire la volontà di Dio affinché i nostri affetti abbiano un vero senso nella nostra storia che diventa la storia di Dio, che diventa la storia della salvezza. Più volte Gesù annuncia ai discepoli che è venuto a portare una chiamata di scelta radicale che spesso, addirittura, porta a decidere per Dio e non per gli affetti! È uno strappo sempre forte perché sempre si tende ad assolutizzare gli affetti personali nelle proprie scelte… Per essere veri cristiani bisogna vivere liberamente questa scelta anche a costo degli affetti! Chi è mio padre, mia madre ed i miei fratelli ? – chiede Gesù in un altro passo – si risponde: sono coloro che fanno la volontà di Dio. La comunità cristiana è una famiglia di famiglie, diceva spesso san Giovanni Paolo II e, qui, ritroviamo il senso della famiglia cristiana. Non è semplice: ma una sequela che possa dare cento volte il doppio in padri, madri, figli, fratelli e sorelle è quella che ci fa seguire il Signore con libertà anche contro il parere e le richieste dei nostri affetti. Gesù stesso non è venuto a toglierci i pesi della croce, ma, la dignità del discepolo, è quella di portare la propria croce insieme a Lui.
Non aver paura di non goderti la vita per seguire Cristo!
Nel seguire il Signore può arrivare la paura di perdere… perdere momenti di riposo, di divertimento, momenti mondani, momenti dedicati a noi stessi e quanto altro abbiamo paura di perdere nel seguire realmente il Signore. Il vero Cristiano fa una scelta radicale che vede in Cristo la Signoria su tutte le scelte della nostra vita. Perché ci sono meno vocazioni alla vita sacerdotale e consacrata? Diceva don Fabio Rosini sacerdote predicatore romano: perché ci sono meno cristiani autentici! Il Cristiano autentico sa che scegliere per Dio è perdere la vita. Perdere in senso che sembra di non godersi la vita, invece, il Signore, ci sfida all’atto di fede che proprio seguendolo seriamente troviamo la vita, troviamo il suo senso della vita, il divertimento nel vivere… Il Cristiano che si getta completamente nelle mani di Dio, sembrando che perde i godimenti della vita, trova la vita, quella autentica, quella vera, quella per cui è stato creato e redento. Saper dire dei no nella nostra vita per dire di sì a Cristo ci fa trovare la nostra vera vita!
L’accoglienza sempre!
L’accoglienza è l’atteggiamento fondamentale del Cristiano! Quanto, la gente, si sente accolta nella tua vita? Quanto la gente si sente accolta così come è nella chiesa, nella comunità cristiana? Accogliamo, e, questo, ci porterà ad essere accolti e, chi accoglie, accoglie a Cristo ed il Padre che lo ha mandato… Quanto accogliamo la sua Profezia? Tanto quanto accogliamo la sua Parola e la sua chiamata, così avremo la ricompensa del profeta: cioè di essere accolti come Cristo! La cattolicità ha proprio come distintivo l’accoglienza di tutti e sempre… Accogliere senza far sentire diversi, accogliere perché questa è la volontà di Dio! Possa, il nostro cuore, diventare una foresteria di accoglienza, possa la comunità essere sempre di più un “ospedale” di campo – come dice Papa Francesco – di accoglienza dell’umanità! L’accoglienza è un’opera missionaria perché, come Papa Francesco spesso dice, noi non siamo chiamati a fare proselitismo ma se viviamo veramente il Vangelo la missione funziona per attrazione. Se siamo pochi cristiani ormai non è perché il mondo è diventato brutto e cattivo, ma perché non siamo più attraenti! Allora bisogna chiederci se siamo accoglienti della novità del Regno di Dio per l’umanità di oggi, se siamo accoglienti non parlando ma ascoltando l’umanità che solo così si può sentire accolta e quindi amata!
Il fonte battesimale
Il bicchiere di acqua fresca da dare nella carità alla umanità è proprio Cristo acqua viva: chi ha sete venga e beva gratuitamente… La missione della chiesa non si fa con le parole, con il convincimento: ma dando un bicchiere di acqua fresca, donando Cristo al mondo, donando l’amore alla umanità! Questo amore fatto di accoglienza che è innanzitutto ascolto nell’amore porta in se la ricompensa, ogni tipo di ricompensa: personale e comunitaria. Chi è il Cristiano? È colui che dona questa Acqua dell’amore, dell’ascolto accogliente, ad una umanità che ha bisogna di questa Acqua: dammi da bere sempre questa acqua, disse la samaritana a Gesù, dice l’umanità alla Chiesa! L’acqua del fonte battesimale, la vita in Cristo, è l’acqua di cui tutti abbiamo bisogno, è l’acqua che Dio ha condiviso con noi nel Suo Figlio, è l’acqua che noi siamo chiamati a condividere con l’umanità! Non facciamo essiccare l’acqua del fonte battesimale con i nostri se ed i nostri ma… Non facciamo essiccare l’acqua del fonte battesimale diventando una comunità elitaria! Non facciamo essiccare l’acqua del fonte battesimale pensando che sia solo per noi eletti! Non facciamo essiccare l’acqua del fonte battesimale con le nostre scelte di un cristianesimo a metà! Non facciamo essiccare l’acqua del fonte battesimale non immergendoci nella realtà del mondo e portandolo all’acqua del fonte battesimale! Se si sta prosciugando l’acqua del fonte battesimale, nel senso che abbiano sempre meno cristiani (di qualità e di quantità) è perché noi stessi non viviamo da battezzati: rendiamo viva quell’acqua dell’amore di Dio, rendiamo il fonte battesimale sempre pieno attraendo all’acqua di quel fonte battesimale l’umanità: con la forza dell’amore!
Domenica 25 Giugno 2023
Dal Vangelo secondo Matteo (Mt 10,26-33)
In quel tempo, Gesù disse ai suoi apostoli:
«Non abbiate paura degli uomini, poiché nulla vi è di nascosto che non sarà svelato né di segreto che non sarà conosciuto. Quello che io vi dico nelle tenebre voi ditelo nella luce, e quello che ascoltate all’orecchio voi annunciatelo dalle terrazze.
E non abbiate paura di quelli che uccidono il corpo, ma non hanno potere di uccidere l’anima; abbiate paura piuttosto di colui che ha il potere di far perire nella Geènna e l’anima e il corpo.
Due passeri non si vendono forse per un soldo? Eppure nemmeno uno di essi cadrà a terra senza il volere del Padre vostro. Perfino i capelli del vostro capo sono tutti contati. Non abbiate dunque paura: voi valete più di molti passeri!
Perciò chiunque mi riconoscerà davanti agli uomini, anch’io lo riconoscerò davanti al Padre mio che è nei cieli; chi invece mi rinnegherà davanti agli uomini, anch’io lo rinnegherò davanti al Padre mio che è nei cieli».
MEDITAZIONE
Libertà dal giudizio degli altri
Il Vangelo di questa domenica è l’inizio del capitolo 10 di Matteo dove Gesù da delle qualificazioni identitarie, le caratteristiche che devono avere, i suoi discepoli, quindi la comunità per cui Matteo scrive, quindi per noi che ascoltiamo o leggiamo questa pagina. La verità del Vangelo non può essere e non deve essere taciuta, tenuta per noi stessi, solo custodita ma, la verità de Vangelo che spesso risulta essere scomoda, va annunciata con la vita nonostante il giudizio del mondo. Un insegnamento di libertà dal giudizio degli altri che merita essere una pagina di antropologia e psicologia dell’umanità attuale sintetizzata dal Figlio dell’uomo in poche righe. Le critiche costruttive vanno accettate con libertà ed amore, anche se spesso ci mettono in difficoltà o in crisi; altresì lasciarci condizionare dal giudizio degli altri ci preclude la libertà! La Chiesa, dall’inizio, fatta di cristiani che furono perseguitati e spesso martorizzati: non può cessare di annunciare il Vangelo della Verità e, non può che essere composta di uomini e donne che hanno fede – l’atto di fede deve essere libero per essere di fede – e che vivono accettando le correzioni ma senza sottomettersi al condizionamento dei giudizi degli altri. Oggi, dove l’umanità è più esposta a questo rischio perché il giudizio altrui corre gratuito e veloce sul web: siamo chiamati a fare un grande sforzo a tenere dura la nostra libertà senza lasciarci condizionare! Non assolutizziamo il giudizio altrui perché sarebbe la distruzione della nostra libertà!
Libertà nella trasparenza
Bisogna dire con la luce del Risorto il Vangelo al mondo con i fatti! Il segreto della confessione e della confidenza è un conto: ma non cadiamo nella trappola, che ci toglie la libertà, di non dire chiaramente quello che pensiamo, con carità e schiettezza. In fin dei conti, in questo Vangelo, Gesù parla di se stesso, libero, che ha annunciato il Padre ed è stato giudicato e condannato; libero nel rivelare agli uomini la verità su Dio. La comunità degli apostoli e quella di Matteo, nonché anche la nostra, non può cadere in quella che è la modalità contraria parenetica di Gesù: spesso sposiamo l’omertà come stile comunitario per molti motivi: questo fa molto male al nostro cammino di fede e alla Chiesa! Dio vede e sa tutto e questo non basta, perché il male dell’omertà prima o poi, come le fogne tappate, porta su tutto il liquame sporco e puzzolente che c’è nel “sottosuolo”… Spesso confondiamo la parresia, o la chiarezza con l’arroganza: bisogna stare attenti a non diventare arroganti, a restare umili ma a dire sempre la Verità, perché la Verità ci fa liberi! Il Cristiano si contraddistingue per essere l’uomo e la donna onesti: siamo tutti peccatori, non facciamo i giudici del prossimo, ma dobbiamo saper dire ciò che non va… e affrontarlo per noi e per la Chiesa.
Libertà dal potere temporale
Spesso mentiamo o non annunciamo il Vangelo e la verità che vediamo perché abbiano paura. A volte, questa paura, non è paura del giudizio, almeno non soltanto, ma paura di perdere. Non affronti la verità perché hai paura di perdere qualcosa o qualcuno? Vuol dire che hai degli interessi! Interessi di potere che ci tentano, di ogni tipo e di ogni logica, che però sono lontani dalla logica del Vangelo. Il potere non lo danno gli uomini, ma è qualcosa che appartiene a Dio! Se vivessimo con questa povertà di spirito, con questa distanza dal sentirci i proprietari della nostra vita, della comunità, della chiesa e del mondo: allora saremmo liberi davvero perché il potere logora e fa male quando è una abrogazione di diritto! Quante volte nella chiesa sentiamo: questo è mio, questo è tuo, il mio, la tua, la vostra… siamo fuori dalla mentalità del Vangelo e dallo stile di Cristo!
Libertà della Provvidenza
Chi vive in questa modalità di libertà, è facilmente giudicato, anzi spesso sembra fallisca, ma, poi, ci si accorge che è la divina Provvidenza a “ripagarti” della libertà perché è Dio Padre che esercita la sua volontà! La verità , e ancor di più quella del Vangelo, va annunciata a costo della morte perché, anche se ci tolgono la vita: Dio ci risorge! L’uomo e la donna liberi vivono il Vangelo ed i rapporti umani e comunitari con libertà perché sanno che Dio Provvidenza veglia sulle loro, sulle loro vite!
Libertà di testimoniare Cristo
C’è il pericolo di essere apostoli e di essere chiesa rinnegando il Signore. Il rinnegamento passa spesso attraverso le nostre scelte contrarie al Vangelo, alla Chiesa, alla realtà della nostra caduca vita. Ma c’è un rinnegamento, più sottile, quasi invisibile, che è proprio della donna e dell’uomo di fede: cioè non testimoniare Cristo! Ma anche testimoniare Cristo può nascondere un rinnegamento più invisibile ma più pesante: testimoniando solo a parole e senza le opere. La fede senza le opere di carità, senza l’amore, senza metterci a disposizione della missione così come c’è bisogno sia della Chiesa: è rinnegarlo. Gli apostoli, che hanno ascoltato questo discorso, lo hanno capito così bene che tutti – lasciando le loro certezze – sono partiti ad annunciare il Vangelo e molti di loro, per questo, sono morti martiri. Cristo risorto è attivo e presente nella sua Chiesa, vuole donarci la libertà che è quella dell’amore, del metterci a disposizione del fare ciò di cui c’è bisogno! Decidere noi come deve essere la Chiesa è abrogarsi il potere di togliere la libertà al Risorto di fare ciò che vuole. Ma cosa vuole il Risorto? Come testimoniarlo? Donandoci gratuitamente alla Sua testimonianza che è stata, è, e sarà l’amore che libera!
Domenica 18 Giugno 2023
Dal Vangelo secondo Matteo
Mt 9,36-10,8
In quel tempo, Gesù, vedendo le folle, ne sentì compassione, perché erano stanche e sfinite come pecore che non hanno pastore. Allora disse ai suoi discepoli: «La messe è abbondante, ma sono pochi gli operai! Pregate dunque il signore della messe perché mandi operai nella sua messe!».
Chiamati a sé i suoi dodici discepoli, diede loro potere sugli spiriti impuri per scacciarli e guarire ogni malattia e ogni infermità.
I nomi dei dodici apostoli sono: primo, Simone, chiamato Pietro, e Andrea suo fratello; Giacomo, figlio di Zebedèo, e Giovanni suo fratello; Filippo e Bartolomeo; Tommaso e Matteo il pubblicano; Giacomo, figlio di Alfeo, e Taddeo; Simone il Cananeo e Giuda l’Iscariota, colui che poi lo tradì.
Questi sono i Dodici che Gesù invò, ordinando loro: «Non andate fra i pagani e non entrate nelle città dei Samaritani; rivolgetevi piuttosto alle pecore perdute della casa d’Israele. Strada facendo, predicate, dicendo che il regno dei cieli è vicino. Guarite gli infermi, risuscitate i morti, purificate i lebbrosi, scacciate i demòni. Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date».
MEDITAZIONE
La compassione di Gesù
Gesù vede le folle, che facevano ressa intorno a Lui per ascoltarlo e, seguirlo e, vede anche coloro che poi da lì a poco diventeranno suoi discepoli, forse prima disinteressati alla sua Parola e a seguirlo… La visuale di Gesù che vede le folle, trattandosi del Figlio dell’uomo, vale per ogni “folla” di ogni tempo, è come Cristo vede l’umanità: con compassione. Che ci sembri lontano o vicino: Cristo guarda l’umanità e, che sentimento prova? La compassione! Non prova rabbia per i peccati, ne compiacimento, ne altri sentimenti positivi o negativi ma, prova: compassione. Perché proprio la compassione? Perché erano stanchi, sfiniti e senza guida… Tre situazioni umane ben precise: la stanchezza che prende tutti noi per gli sforzi che facciamo, la sfinitezza che viene dai grandi eventi negativi della vita e il perdersi cioè cercare il senso della nostra vita senza trovare il “pastore” cioè colui che ne ha la mappa per arrivarci… Una umanità senza Cristo è una folla errante senza pastore: non sa dove va a finire… Tanto meno può trovare consolazione nella sfinitezza e riposo nella stanchezza! Cosa ti stanca? Cosa ti ha sfinito? Verso dove va la tua vita? Rispondendo a queste domande con e senza Dio cambia tutto!
Dio ha bisogno di te
Gesù non manca di dire a tutti che c’è bisogno di operai nella sua messe. La messe è una quantità enorme di cereali che c’è bisogno di raccogliere. Spesso confondiamo il fare discepoli dal fare adepti. L’adepto viene spinto a seguire per convinzione e appartenenza, il discepolo segue per attrazione e apertura al mondo. Questo Vangelo oggi si colloca in un mondo che spesso definiamo decristianizzato, neo pagano, secolarizzato… Secondo uno studio antropologico è vero ma, potrebbe spegnere la speranza; questo Vangelo ci sprona a comprendere una realtà: tutti siamo stati creati a Sua immagine e perciò il mondo non è un campo da arare, seminare, annaffiare ma una messe da raccogliere. Cosa ci manca? La fede! Se non raccogliamo dal mondo è perché la nostra fede è morta. Come risuscitarla? Cominciando a raccogliere.
Una missione di amore
La fede senza le opere è morta (Gc 2,26). Il grande equivoco che tende a svuotare le chiese – il nostro problema poi più che di quantità è di qualità – è che ad un certo punto abbiamo pensato che vivere la fede sia entrare nella parrocchia, nella comunità di fede perché ci fa stare bene, perché è giusto, perché è cosa buona, perché ci rinfranca e ci fa sentire Gesù vicino e, non ci siamo chiesti se, quello che sentiamo veramente, è Gesù oppure una sensazione emotiva su Gesù… La fede è missionaria per sua natura, la fede fa operare in “automatico”, la fede non ci preclude in modalità di evangelizzazione ma è Cattolica, cioè è universale, cioè è amare! Perché l’amore è da Dio ed è universale! Questo ci aiuta a porci una domanda: siamo folla o siamo discepoli? Se siamo discepoli la fede spinge all’opera – l’amore del Cristo ci spinge (2 Cor 5,14) – missionaria che è amare! I discepoli operatori di amore non sono una élite, una comunità di qualità prelibata, ma esseri umani che fanno della compassione di Cristo la loro stessa compassione per qualsiasi genere di umanità! Questa compassione – patire con – è accostare il nostro cuore a quello dell’umanità che si sente amata e poi attirata dall’amore al cuore di Cristo! Il discepolo sa di essere un uomo o una donna che alimenta la propria fede mettendola all’opera e, non ci sono altri modi per alimentarla! Darsi da fare ad amare tutti, senza schemi, senza preconcetti, senza pregiudizi, senza sentirci migliori!
Dare gratuitamente…
Il discepolo sa di essere servo inutile (come dice Gesù in un altro passo) cioè senza utile. La gratuità è il segno essenziale dell’amore e il sigillo di appartenenza al Signore. Essa ci fa come lui, servi per amore. E’ la massima libertà che ci rende simili a Dio. La missione dei cristiani nel mondo è, prima di tutto, testimonianza dell’amore gratuito di Dio. Le opere della fede non si compiono mai per un rendiconto personale e neanche comunitario… Faccio questo perché mi da quest’altro… no: la fede è opera gratuita di amore che è innanzitutto amore che agisce prima che venga richiesto l’aiuto o il servizio!
Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date! Spesso non doniamo perché non riteniamo, anche inconsciamente, di aver ricevuto da Dio… So riconoscere cosa e chi ho ricevuto da Dio? Vivo con questa gratitudine nel cuore? Essere grati significa essere felici anche quando la vita si fa dura e questo ci aiuta a non abbatterci. Quando l’opera della fede, quando la nostra missione non è gratuita allora è fallimentare. Fede non si può scindere dalla missione come la missione non si può scindere dalla gratuità. E, operare la fede, costa! Quel costo dell’opera della fede raccogliendo dal mondo l’umanità attraverso l’amore, ha un prezzo alto ma accresce la nostra fede e la nostra felicità, nonché la nostra libertà.
Domenica 11 Giugno 2023
Corpus Domini
Dal Vangelo secondo Giovanni
Gv 6,51-58
In quel tempo, Gesù disse alla folla:
«Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo».
Allora i Giudei si misero a discutere aspramente fra loro: «Come può costui darci la sua carne da mangiare?». Gesù disse loro: «In verità, in verità io vi dico: se non mangiate la carne del Figlio dell’uomo e non bevete il suo sangue, non avete in voi la vita. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell’ultimo giorno. Perché la mia carne è vero cibo e il mio sangue vera bevanda.
Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue rimane in me e io in lui. Come il Padre, che ha la vita, ha mandato me e io vivo per il Padre, così anche colui che mangia me vivrà per me. Questo è il pane disceso dal cielo; non è come quello che mangiarono i padri e morirono. Chi mangia questo pane vivrà in eterno».
MEDITAZIONE
Dio ci dona la sua stessa vita
Celebriamo la solennità del Corpus Domini, del Corpo e Sangue del Signore, tramite cui Lui stesso entra in comunione con noi. La nostra fede non è solo spirituale, intellettuale, ma è pratica: Dio entra praticamente nella nostra vita attraverso i sacramenti della Chiesa di cui, fonte e culmine, ne è l’Eucaristia. Torniamo su di un concetto di domenica scorsa: nella religiosità dell’Antico Testamento e delle culture pagane, l’uomo, per tenere viva la fede, era chiamato a donare dei sacrifici alla divinità: in un certo senso la divinità sopravviva nell’ umanità attraverso i doni, i sacrifici, che quest’ultima elevava alla divinità. Nell’Eucaristia, Dio, escogita un modo inverso: il Suo unico Figlio si offre al Padre per noi, il Quale offre a noi il Suo Figlio stesso. Io sono il pane vivo: l’Io Sono, Dio, si fa pane per l’umanità e, l’umanità, non è chiamata innanzitutto a mangiare questo pane divinizzato. È Dio a donarsi a noi e lo fa concretamente nel sacramento della Eucaristia! La vita eterna non è una conquista umana, ma è un dono di Dio che Egli pratica donandoci il Pane ed il Vino che consacriamo nella celebrazione eucaristica. Cosicché cibandoci del Suo Corpo noi ci nutriamo di Lui, assumiamo fisicamente la sua vita, la vita di Cristo risorto.
Come?
La domanda dei giudei presenti è legittima secondo la religiosità che conoscevano: Come può costui darci la sua carne da mangiare? Le parole di Gesù durante l’ultima cena, non sono un discorso di addio sentimentale, ma una istituzione rituale in cui Lui si offre all’ umanità realmente. Quando celebriamo la s. Messa attingiamo alla grazia dell’ultima cena, della passione, morte e resurrezione del Signore. Fate questo in memoria di me è l’annuncio che la Chiesa ha ricevuto lo Spirito per continuare questa opera del dono di Dio all’ umanità attraverso l’Eucaristia. Questo ha cambiato tutto nella vita dei discepoli e di chi lo vuole seguire: Lui è il cibo, il nutrimento alla nostra fame, ad ogni fame! Cibarsi di Lui significa ricevere in dono la Sua stessa vita e la nostra vita assume un senso diverso, un senso pieno. Ma di cosa ci cibiamo per saziarci? Cosa nutre la nostra vita? Non parlo del cibo per il corpo, certo, ma cosa alimenta la nostra gioia di vivere, la nostra forza di andare avanti quando la storia si fa dura? Quale cibo ci dona la vita eterna? Se vogliamo vivere in pienezza, se vogliamo dare un senso alla nostra vita, se vogliamo aver la forza vera per andare avanti quando l’abbattimento vuole farci cadere, allora: non possiamo trovare altro cibo che quello dell’Eucaristia! In questo sta l’atto di fede: partecipare, mangiare e vivere la fede nel Gesù risorto presente nel suo Corpo e nel suo Sangue. L’unico che può farci vivere una vita in pienezza è il Dio che ci ha creato ad immagine del Suo Figlio e, nel suo Corpo e nel suo Sangue, ci dona la sua stessa vita per vivere la nostra vita in pienezza e da risorti.
La comunione
Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue rimane in me e io in lui. Come il Padre, che ha la vita, ha mandato me e io vivo per il Padre, così anche colui che mangia me vivrà per me… Per chi è per cosa viviamo? L’Eucaristia ci far prendere parte alla famiglia celeste del Padre e del Figlio e dello Spirito santo. Non è un cibo solo per noi, ma il sacrificio di Cristo è per tutti! Ecco l’Agnello di Dio che toglie il peccato del mondo! L’Eucaristia è il sacramento per tutti, è il sacramento per i peccatori! È fonte delle nostre scelte anche quelle più importanti? Se le nostre scelte, ci spingono ad allontanarci dalla Eucaristia, come vivremo una vita in pienezza? L’Eucaristia è il dono della Misericordia, è il dono di Dio a noi a cui tutto il mondo è chiamato e a cui partecipano i cristiani. Non è pensabile a questo dono ricevuto per se stessi: siccome è un dono di amore bisogna moltiplicarlo con gli atti di amore. Lui – Nell’Eucaristia – si fa dono di amore alla Sua Chiesa affinché la chiesa comprenda che è unita dal dono del suo amore. Non si può vivere una eucaristia separata dagli altri, chiusa ad altri, chiusa ai fratelli, chiusa al perdono, chiusa in una “chiesa” chiusa! L’Eucaristia o si da a tutti a porte aperte o si rischia di sprecarla, di fare sacrilegio, di farne proprietà privata. Non è un pane per te e per me: è un pane per noi, è un pane per tutti! Un pane che ci chiama a convertirci alla solidarietà, a fare il nostro passo per primi verso chi soffre, verso la comunità, verso ciò di cui c’è bisogno e verso il mondo spesso così lontano… Non aspettiamo che gli altri ci chiediamo aiuto: facciamoci avanti noi per primi: così saremo uomini e donne eucaristici. Gesù pietà della tua Chiesa, difendi e nutri i tuoi fratelli e portali alla gioia dei tuoi santi. Amen.
Domenica 4 Giugno 2023
Santissima Trinità
Dal Vangelo secondo Giovanni (Gv 3,16-18)
In quel tempo, disse Gesù a Nicodèmo:
«Dio ha tanto amato il mondo da dare il Figlio, unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna.
Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui.
Chi crede in lui non è condannato; ma chi non crede è già stato condannato, perché non ha creduto nel nome dell’unigenito Figlio di Dio».
MEDITAZIONE
Dio ci offre il suo Figlio unico
Il Vangelo di questa domenica ci apre al mistero della conoscenza di Dio, così come Gesù Cristo ce lo ha rivelato. Incontrare Gesù risorto nella nostra vita è incontrare la Trinità. Come Mose’ sul monte Sinai, riceve la rivelazione teofanica di Dio nella nube e nella proclamazione del nome di Dio stesso – Il Signore passò davanti a lui, proclamando: «Il Signore, il Signore, Dio misericordioso e pietoso, lento all’ira e ricco di amore e di fedeltà». (Es 34,6) – così anche noi nell’esperienza che facciamo di Dio in Cristo, riceviamo lo Spirito santo che ci fa conoscere il mistero di Dio. Un Dio che si dichiara come Amore, relazione di Amore tra loro Tre che hanno voluto estendere all’umanità. Perché Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito… Gesù è il dono di Dio a noi per farsi conoscere a tutta l’umanità! Se nella ritualità religiosa è l’uomo che offre a Dio il primogenito o le primizie: nel Vangelo si capovolge questa realtà di culto ed è il Padre a donare il suo Figlio unico all’uomo affinché l’uomo non si perda la Presenza di Dio. Questa offerta del Padre che fa a noi – e si ripete in ogni s. Messa che celebriamo – porta in se tutto il dramma dell’amore del Padre che realmente ha offerto il suo Figlio unico per salvarci. Ora c è una perdita che non potrà mai essere rimpiazzata. Una destinazione che non potrà mai essere raggiunta. Una luce che non troverai mai più in un altro viso. Un mare la cui distanza non potrà essere colmata. (Bruce Springsteen, JESUS WAS AN ONLY SON). Il dono del Figlio di Dio a noi c’è stata e c’è realmente… La fede ci chiama a questa realtà, a questo capovolgimento del culto: il Padre offre a noi il Suo unico Figlio affinché non ci perdiamo dalla sua Presenza e così renderci partecipi della sua stessa vita divina, della vita eterna. Questa esperienza di offerta fatta a noi porta tutto il suo dramma della Passione del Signore ma la speranza certa della sua resurrezione e la chiamata di noi alla nostra resurrezione.
Gesù dono della Misericordia del Padre
La venuta di Gesù nel mondo, del Figlio unico di Dio, non riguarda solo gli uomini di duemila anni fa circa che lo hanno fisicamente incontrato, ma, riguarda tutta l’umanità. Gesù prese le distanze da coloro che condannavano per il moralismo religioso, dalla vita del culto: si offre al Padre perché, Lui lo dice: non sono venuto per condannare ma per salvare il mondo. Abbiamo perso il senso della Misericordia di Dio, che si è presentato a Mose’ sul monte come Colui che perdona appunto e, la nostra tentazione è sempre quella di lasciarci rincorrere e raggiungere dal senso di colpa! Ma uno che muore in croce per te, per salvarti, per dirti che il tuo peccato è espiato: non ti basta per comprenderne quanto Dio ci ama e calpestare il senso di colpa che ci rovina e che rovina la Chiesa? La condanna è vivere con un censore interiore e ci fa puntare il dito… Grazie al dono dello Spirito, nella Eucaristia, entriamo in quel donarsi di Gesù per noi, per donarci la Misericordia, per vivere da salvati! Siamo stati creati a Sua immagine e a Sua immagine siamo stati redenti! L’Eucaristia è questa immagine viva del Figlio unigenito di Dio, offerto a noi per salvarci. Una Chiesa ripiegata ancora nel concepire il suo centro nel problema del peccato, è una Chiesa che non vive autenticamente l’Eucaristia perché, Nell’Eucaristia Dio ci rivela che il senso di tutto è la comunione con Lui e l’amore con i fratelli!
La condanna
Vivere la fede è perciò una chiamata a vivere l’esperienza di amore del Dio Trinità! Siamo perduti se ci perdiamo questa stupenda relazione con Dio! Vivere con Dio realmente, non significa avere delle castrazioni e gravosi impegni da assumersi per guadagnarci qualcosa nell’ordine della grazia perché, la grazia di Dio – come dice la stessa parola “grazia” – è gratis: non è una conquista del cammino dell’uomo verso Dio, quanto invece dell’accoglienza di Dio che cammina verso l’uomo. Siamo condannati ad una vita mediocre – che a noi se ci piace sembra vissuta in pienezza – se non rispondiamo affermativamente alla chiamata di Dio. L’esperienza di fede è piena di Gioia, è vita vissuta in pienezza, è una felicità incontenibile, che passa anche attraverso i drammi peggiori della vita e, che, non credere veramente è: non fare l’esperienza più alta della nostra vita! Questa è una vera e propria auto condanna! Non fare esperienza dell’amore Trinitario ci condanna ad una vita lontana da Dio, storia senza senso, anche se crediamo di vivere bene. Ma non è meglio credere sapendo che ci è rivelato un modo migliore di vivere in pienezza? Comprendiamo che perderci la Presenza di Dio è condannarci ad una mediocrità di vita che oggi è annunciata dalla falsa profezia del “super uomo? Dio è Trinità, è relazione di amore e non un dettame di precetti e doveri onerosi e stancanti! La vita di fede, in tutta la sua relazione con Dio nella comunità, che è relazione nello Spirito Santo, è: vivere la libertà dei figli di Dio, è vivere la fede non come gravoso impegno, ma come gusto e divertimento di una vita vissuta in pienezza! Povera quella gente di chiesa che si auto condanna a vivere la relazione con Dio e con i fratelli con la pesantezza per guadagnarsi qualcosa! Povera quella gente che vive la comunità come fosse un lavoro per avere un utile di chissà quale tipo! Questi portano solo fardelli e li mettono sulle spalle degli altri… Vivere l’amore Cristiano è si a volte impegno gravoso, ma che viene fatto nella contentezza di aver donato l’amore ricevuto, l’amore trinitario! La fede è relazione con Dio nella comunità cristiana: e questo ci salva da una vita morta e dalla morte della vita. La santissima Trinità è comunità divina aperta a tutti, povera anche quella comunità della Chiesa che pensa di essere esperienza reale ma chiusa in se stessa! La Trinità è comunità per tutti, è comunità aperta, è comunità universale. Riscopriamo come chiesa questa bellezza divina dell’apertura all’università, dell’apertura a tutti!