Dal vangelo secondo Marco (Mc 1, 29-39)
In quel tempo, Gesù, uscito dalla sinagoga, subito andò nella casa di Simone e Andrea, in compagnia di Giacomo e Giovanni. La suocera di Simone era a letto con la febbre e subito gli parlarono di lei. Egli si avvicinò e la fece alzare prendendola per mano; la febbre la lasciò ed ella li serviva.
Venuta la sera, dopo il tramonto del sole, gli portavano tutti i malati e gli indemoniati. Tutta la città era riunita davanti alla porta. Guarì molti che erano affetti da varie malattie e scacciò molti demòni; ma non permetteva ai demòni di parlare, perché lo conoscevano.
Al mattino presto si alzò quando ancora era buio e, uscito, si ritirò in un luogo deserto, e là pregava. Ma Simone e quelli che erano con lui si misero sulle sue tracce. Lo trovarono e gli dissero: «Tutti ti cercano!». Egli disse loro: «Andiamocene altrove, nei villaggi vicini. perché io predichi anche là; per questo infatti sono venuto!».
E andò per tutta la Galilea, predicando nelle loro sinagoghe e scacciando i demòni.
MEDITAZIONE
La Domus Ecclesiae
Gesù era un rabbi che aveva il suo turno di predicazione della Torah nella Sinagoga: Marco evangelista sottolinea – quale ebreo convertito al cristianesimo – che Gesù era ebreo, ancor di più un Rabbi della Sinagoga. Ciò che nasce con Gesù, dalla chiamata degli apostoli alla formazione della Chiesa, è profondamente radicato nell’ebraismo. Simbolico questo spostamento di Gesù dalla Sinagoga alla “Casa di Pietro”: la casa di Pietro, per i padri apostolici, ha sempre simboleggiato, come ad esempio la sua barca, la Chiesa. Questo spostamento di Gesù dalla Sinagoga alla Casa di Pietro è simbolico di una popolazione che passa dall’ebraismo al cristianesimo. Di fatto i primi cristiani, espulsi dalla Sinagoga proprio perché cristiani, nei primi secoli, si radunavano per le celebrazioni proprio nelle domus ecclesiae, nelle loro case che diventavano per quella occasione, chiese. L’evangelista Marco, che ha redatto il suo Vangelo (circa nel 67d.C. a Roma) ascoltando le testimonianze e le predicazioni di san Pietro, ci porta con questo brano dentro la casa di Pietro a Cafarnao. La casa di Pietro a Cafarnao, e questo gli studi lo hanno confermato, è stata per anni, dopo la morte e la resurrezione di Gesù: un luogo fondamentale per la Chiesa nascente. Perciò dire che Gesù passa dalla Sinagoga alla Casa di Pietro ha un valore specifico molto rilevante sia sul piano teologico (dalla Sinagoga alla Chiesa) sia sul piano della professione della fede (dall’ebraismo al cristianesimo) sia sul piano oggettivo comunitario (Gesù si manifesta risorto nella “casa” degli uomini). La casa di Pietro, dal giorno in cui Gesù vi prende dimora per qualche tempo, diventa una casa importante, la gente si accalcava davanti per aspettare Gesù. Infatti il Vangelo descrive la casa di Pietro, dapprima solo la casa del pescatore ma, da allo: Tutta la città era riunita davanti alla porta.
La confidenza cristiana
Uscito dalla Sinagoga Gesù va nella casa di Simon Pietro e, anche se questo brano non ce lo dice per la schiettezza sintetica dell’evangelista Marco, Gesù stesso si ferma in quella casa per un tempo importante: non è stata una visita di poche ore, ma un suo essere ospite di Pietro per diverso tempo. Nella mentalità ebraica di quel tempo – ma in parte è anche cosi nella nostra mentalità odierna – andare a vivere per un periodo in una casa, con delle persone, che non sono tuoi familiari: implica una confidenza oggettivamente grande. Ancor di più un Rabbi va a dormire a casa di un pescatore, ancor di più il Figlio di Dio – vero Dio e vero uomo – va a stare nella casa di un uomo. Gesù vuole entrare nella vita delle persone, delle famiglie. Spesso il nostro rapporto con Gesù non gli permette di entrare nelle nostre case, nella nostra intimità, spesso resta un rapporto rituale o moralmente legale, che Lo lascia fuori la “porta” delle nostre vite cosicché noi possiamo incontrarlo fuori di noi ma non dentro di noi. Il rapporto che Dio ha voluto con gli uomini, mandando il Suo Figlio unigenito, è un rapporto confidenziale, quotidiano, realista nel rapportarsi con Lui: siamo chiamati ad aprire la porta del nostro cuore per farlo entrare nelle nostre vite, nel nostro quotidiano. La prima comunità cristiana aveva sviluppato questa categoria della confidenza – vissuta nel rispetto – iniziata da Gesù di Nazareth. Se c’è questa confidenza la chiesa diventa veramente Chiesa! Certo la confidenza ha dei rischi, certo la confidenza ha dei risvolti, può diventare, come un proverbio napoletano sapientemente recita: a confidenza è a mamma da mala crianza; spesso la confidenza toglie la riverenza, spesso attenta anche un alla riservatezza ma, è l’unico canale, per diventare realmente comunità cristiana. Gesù, entrando nella confidenzialità della casa di Pietro, incontra subito un problema enorme: la suocera di Pietro era al letto con la febbre, forse era grave perché la febbre era già qualcosa di pericoloso ma, comunque Gesù entra in casa per assumersi i problemi della casa di chi lo ospita. Far entrare Gesù e la comunità cristiana in casa propria ha un aspetto salvifico. Con la comunità cristiana accanto, quando questa è una comunità sana, i problemi si condividono e si affrontano con l’energia e l vivacità del Risorto. Cercare e trovare questa confidenzialità come cristiani significa trovare la Presenza di Cristo attivo nella comunità. Gesù guarì la suocera di Pietro che si mise a servirli.
La Comunità dalla porta aperta
Nel tempo del tramonto, quando scende la sera, Gesù non se ne sta in casa, in amicizia confidenziale con Pietro e la sua famiglia ma esce dalla porta. La vera comunità cristiana è per metà cristiana se, nel godere della confidenzialità propria voluta da Gesù, non si fa missionaria nel mondo, se non apre la porta a chi è fuori per accoglierlo, guarirlo e strappare dal male l’umanità. Si vedono a volte delle belle comunità che vivono una straordinaria confidenzialità in Cristo ma che, restano a porte chiuse, a numero chiuso, a regole chiuse, a rituali chiusi. La comunità cristiana, se non apre la porta al mondo, cristiana non è! Una comunità di persone che raggiunge una confidenzialità tale tra i membri e Cristo non può che incontrarsi a porte aperte, non può che uscire secondo i bisogni della gente anche “al tramonto” – come ha fatto Gesù, cioè nei momenti più scomodi.
L’oltre e l’altrove
Gesù è particolare, pernottato a casa di san Pietro se ne esce presto la mattina mentre ancora tutti dormono e se ne va a pregare sul monte. Ma perché non ha avvisato? Perché non ha detto niente a nessuno ed è uscito così per pregare? Non ha detto neanche dove sarebbe andato tanto che, quando si accorsero che non era in casa, si misero sulle sue tracce. La libertà di Gesù e la sua chiamata a pregare altrove è un esempio ed una vocazione per ciascuno di noi. Saper mollare il gruppo, la famiglia, la società e appartarsi in un luogo “segreto” per pregare, per fare entrare Dio nel nostro cuore quotidianamente è a fondamento della relazione della donna e dell’uomo di fede. Quando Gesù prega con i discepoli va sempre più avanti, si apparta in un “oltre” perché, la preghiera, è chiamata ad andare oltre tutti e cercare un dialogo profondo con Dio. Solo chi è libero e si sente libero nel cuore può veramente pregare! Oltre la casa Gesù, come ogni cristiano, va altrove ad annunciare il Vangelo con le parole e le opere. L’oltre della preghiera lo porta sempre altrove. C’è come un seminomadismo che Gesù vive per la missione che deve svolgere e, sarà così, anche per i cristiani. Il cristiano che va oltre tutti e tutto nella preghiera è sempre chiamato da Dio di andare altrove a testimoniare. La peculiarità e la bellezza della vita cristiana è proprio una caratteristica della vita del Signore: una comunità confidenziale, un oltre personale della preghiera e un altrove in cui essere missionari.