Omelia alla s. Messa delle ore 11,30
È una gioia veramente grande per me celebrare qui oggi l’eucaristia con voi.
Abbiamo avuto, prima della messa, un incontro molto bello con diversi di voi sulla vostra vita di comunità e ringrazio Dio di quello che ho ascoltato, di quello che ho potuto vedere. Ringrazio don Stefano, don Giorgio, i diaconi, tutti voi qui presente.
Siamo arrivati alla quinta domenica di quaresima, ormai alle porte della domenica delle Palme, la prossima, e come abbiamo sentito, il Vangelo di questa domenica di quaresima annuncia che l’ora della salvezza non è una fatalità, non è una conquista. L’ora della salvezza è una scelta da fare nel profondo della nostra libertà, proprio quando potremmo anche decidere altro, anziché perdere la nostra vita per amore. E allora l’occasione di parlare apertamente della sua passione d’amore per l’uomo, a Gesù è offerta da alcuni Greci, che si avvicinano ai discepoli con una forte curiosità nei confronti del loro maestro. E lo dicono, “vogliamo vedere Gesù” (Gv 12, 21), vogliamo vedere Gesù. Gesù non risponde a loro, risponde ai discepoli, però orienta il discorso in una direzione possiamo dire insolita, apparentemente molto distante dalle aspettative. Cosa dice Gesù? “È venuta l’ora che il figlio dell’uomo sia glorificato” (Gv 12, 23). Quindi Gesù è ormai consapevole che l’ora della sua piena manifestazione sta per giungere. Quindi coglie l’occasione di una domanda, per dire fino in fondo le sue convinzioni. E qui siamo davanti a una rivelazione veramente che ci lascia così, senza parole “in verità In verità io vi dico se il chicco di grano caduto in terra non muore, rimane solo. Se invece muore, produce molto frutto” (Gv 12, 24). È l’immagine del seme chiamato a maturare nel tempo e poi a morire nell’ora opportuna. Questa immagine afferma che la fecondità dell’amore autentico dipende dalla disponibilità a interpretare la morte non come un nemico da combattere ma come un alleato a cui consegnarsi. So che è difficile questo, però il Vangelo ce lo dice chiaramente. Questa immagine del seme teniamola nel cuore. A volte siamo portati a dire sì, per il figlio di Dio vivere tutto questo forse è stato più facile rispetto a noi, lo diciamo ”Ma lui era il figlio di Dio”, quindi è stato più facile. Però l’autore della lettera agli Ebrei precisa che “Cristo nei giorni della sua vita terrena offrì suppliche con forti grida e lacrime a Dio che poteva salvarlo da morte e per il suo pieno abbandono a lui venne esaudito” (Eb 5, 7). Sono parole importantissime, e se il concetto non fosse sufficientemente chiaro aggiunge: “Pur essendo figlio imparò L’obbedienza da ciò che patì” (Eb 5,8). Guardate, questo versetto su cui mi sono fermato tantissime volte nella mia vita, mi ha sempre sconcertato: Lui, il figlio di Dio, ha imparato l’obbedienza dalle corse che ha patito. Quindi, se per il figlio di Dio la strada è questa, non possiamo dire per noi c’è un’altra strada.
Possiamo immaginare che siano state molte, molte occasioni in cui Gesù, come uomo, ha avuto la necessità di abbandonarsi alla fedeltà del padre senza perdere né il sorriso, senza perdere la speranza, pur vivendo dentro grandi contraddizioni e sofferenze. E infatti queste espressioni “pieno abbandono” Potrebbe essere meglio tradotta dal greco con questa espressione “prendere bene”. Prendere bene le cose, prendere bene gli eventi della vita, prendere bene le situazioni. Cioè, Gesù è diventato capace di morire, portare frutto proprio per avere accettato di “prendere bene” ogni circostanza, immergendosi in una preghiera sofferta ma filiale. Prendere bene. Io non so se ce lo auguriamo guardate, perché ogni tanto dico se son capace di fare questo esercizio di vedere tutta la mia vita e per ogni situazione difficile che ho vissuto dire “l’ho presa bene”, “doveva andare così”. Quando riusciremo a fare questo esercizio nella libertà del cuore, possiamo dire che siamo ad un livello spirituale molto molto profondo, perché ci siamo uniti a Cristo. Provate: io ho provato a farlo, rivedere a tutti gli anni e vedere certi passaggi e dire” doveva andare così”, “l’ho presa bene, doveva andare così”. non è sempre stato facile e non sarà facile fare questo esercizio, che ci richiede proprio l’unione alla vicenda di Gesù.
Questo immergerci nella preghiera filiale. Il Vangelo ci rivela i contenuti di questa preghiera di Gesù, ci dice i sentimenti di turbamento che Gesù sperimenta alla vigilia della sua passione. “Adesso l’anima mia è turbata. Che cosa devo dire Padre, salvami da quest’ora? Ma proprio per questo sono giunto a quest’ora. Padre glorifica il tuo nome” (Gv 12, 27-28). Cioè, di fronte al precipitare degli eventi a suo sfavore, il cuore di Gesù decide liberamente di non chiedere aiuto a Dio, a Dio che poteva salvarlo da morte, ma di accogliere quanto sta per succedere, affinché il nome santo e buono di Dio si manifesti al mondo. Ecco, mentre l’ombra della passione si sta allungando inesorabilmente su di lui, Gesù non sceglie di salvarsi la pelle, ma di conservare sé stesso per la vita eterna e di fare un regalo meraviglioso a tutta l’umanità. E allora diventa causa di salvezza eterna per tutti coloro che gli obbediscono. So, cari fratelli e sorelle, che il percorso cristiano non è per niente facile, non è facile. Anche per noi viene l’ora della passione, anche per noi. Quando è l’ora della passione? Quando non si possono più rimandare le decisioni importanti, quelle che soltanto noi possiamo prendere, quella è l’ora della passione. In questi passaggi, nei quali avvertiamo il rischio di perdere le cose e le persone a cui siamo più legati, ecco, in queste situazioni non veniamo mai, mai privati dell’opportunità di obbedire al figlio, imparando a pronunciare, a dire la sua stessa preghiera ed entrando in un’alleanza nuova con Dio. È un dono della Grazia, non è merito nostro guardate, non sarà un nostro sforzo che ci aiuterà. È il dono della grazia di Dio che ci aiuterà ad abbandonarci. Anziché continuare a domandare al padre di salvarci dalla realtà, perché terribilmente diversa, più dolorosa di quanto avevamo previsto, possiamo decidere che cosa? Di rompere il vaso della nostra vita come un profumo, spendendosi e donandoci gratuitamente, quello lo possiamo fare, e dire “anche la mia vita voglio che sia un dono d’amore”. solo così possiamo dare a Dio il permesso di scrivere il suo autografo sul libro della nostra vita “porrò la mia legge dentro di loro, la scriverò nel loro cuore” (Ger 31, 33), per poi sollevare lo sguardo verso il cielo e restituire il padre le grida, le lacrime, di una vita ricevuta, vissuta fino in fondo, lasciando alla sua misericordia il compito di ultimare il disegno d’amore per noi e per tutti. “Allora io sarò io il Dio con loro ed essi saranno il mio popolo” (Ger 31, 33).
Ecco, tutti abbiamo bisogno di questo dono. Questa comunità oggi, la vostra comunità, mi ha colpito tanto, ecco, per il cammino che sta facendo. In questo momento forse il Signore ci chiede proprio la capacità di un abbandono forte a Lui, in qualsiasi punto siamo arrivati nella nostra vita una preghiera filiale, un abbandono forte per vivere un’alleanza nuova con il dio della vita, occorre avere il coraggio di un pieno abbandono. Tra poco, a una nostra sorella che riceverà il battesimo nella notte di Pasqua, Anna, consegneremo il Padre Nostro. la preghiera del Padre Nostro è la più bella, la più impegnativa. già dire Padre significa dire “io mi fido”, “io mi affido, “io mi consegno”. Ricordate quell’episodio, quella gara che proposte Frate Leone a San Francesco? Disse: “Padre, passiamo tutta la notte a pregare il Padre Nostro. Poi il giorno seguente al mattino ci racconteremo quanti ne abbiamo recitati”. Si incontrano al mattino dopo la notte, non so quanti ne aveva recitati frate Leone, San Francesco dice: “Caro mio non sono riuscito ad andare oltre la parola Padre” tutta la notte era rimasto sulla parola Padre. La preghiera del figlio, quando entra in questa dinamica della consegna, diventa una cosa meravigliosa perché liberante.
Termino con una preghiera che mi accompagna da quando avevo 16 anni, mi ha accompagnato sempre, è una preghiera che è stata scritta da San Charles de Foucauld. Quando lui la scrive questa preghiera, lo dice chiaramente: questa preghiera nessuno di noi la può dire da solo, personalmente. Queste parole soltanto Gesù Cristo le può pronunciare, il Figlio. Noi queste parole le possiamo dire soltanto uniti a Gesù Cristo, altrimenti non riusciamo, e termino proprio, la condivido con voi perché è la preghiera dell’abbandono.
Padre mio,
io mi abbandono a te,
fà di me ciò che ti piace.
Qualunque cosa tu faccia di me
Ti ringrazio.
Sono pronto a tutto, accetto tutto,
purchè La tua volontà si compia in me,
e in tutte le tue creature.
Non desidero altro, mio Dio.
Depongo la mia anima nelle tue mani
Te la dono mio Dio,
con tutto l’amore del mio cuore
perché ti amo,
ed è per me un’esigenza d’amore
il donarmi
il rimettermi nelle tue mani senza misura
con una fiducia infinita
perché Tu sei il Padre mio
Amen
Le parole del Cardinale De Donatis hanno toccato punti importanti e centrali della mia vita e del mondo intero con tale semplicità e divina grazia da arrivare al cuore di tutti. Rileggendo più volte il suo discorso che si illuminava con i versetti del Vangelo degli Apostoli, è giunto al senso dell’affidarsi al Signore con la bellissima immagine ” rompere il vaso della nostra vita come un profumo, spandendosi e donandosi gratuitamente”. Io prego Dio, Padre mio e nostro, per questo ogni giorno della mia vita!