OMELIA ALLA S. MESSA
Io sono stato parroco e negli ultimi anni, prima di essere nominato vescovo, sono stato rettore nel seminario. Ricordo quando veniva il vescovo, o in parrocchia o in seminario, la prima cosa che pensavo quando ero seduto al posto di Don Stefano e di Don Giorgio era “speriamo che questo non parli molto” perché in genere si immagina che quando arriva il vescovo, debba per definizione parlare tanto! Allora approfitto, ecco, con molta semplicità vorrei condividere innanzitutto la gioia di essere qui questa stasera. Non conoscevo questa comunità parrocchiale; io vengo dal sud Italia, arrivo da Agrigento, sono stato ordinato vescovo nel giugno 2022. Mi è stato affidato il settore ovest, in questi anni mi ero concentrato a conoscere un po’meglio quella parte della nostra realtà. Mi era capitato poche volte di uscire fuori dal settore ovest, poi sono stato nominato vicegerente e ho iniziato ad avere uno sguardo più ampio; adesso dal 6 ottobre il Santo Padre mi ha scelto come suo vicario al posto di Don Angelo e allora devo occuparmi della diocesi. Don Stefano era venuto durante l’estate ad invitarmi, abbiamo scelto questa data e adesso mi trovo qui in questa nuova veste….
Come prima cosa la gioia di conoscervi, lo dicevo all’inizio: vedere così tanti giovani, anche famiglie, persone giovani davvero riempie il cuore di speranza; capita spesso di andare nelle parrocchie e trovare poche persone ricche di animo, un po’ il pastore si scoraggia. Invece qui trovo una comunità molto viva e davvero ringrazio il Signore, e in secondo luogo una riflessione su questa parola che abbiamo ascoltato.
Anche questa sembra provvidenziale, Gesù dice sono venuto a portare il fuoco sulla terra e come vorrei che fosse già acceso. Lo dice proprio con un tale ardore da contagiarci. Il fuoco è il fuoco dell’amore di DIO, è il fuoco anche del sacrificio, del battesimo che da lì a poco avrebbe accettato; ma fatevi dare un’altra interpretazione: è il fuoco dell’entusiasmo, il fuoco della gioia. L’entusiasmo vuol dire proprio questo, quando si ha DIO dentro non si vede altro se non la voglia di contagiare. E dice quanto è provvidenziale questa parola perché cade in un momento storico in cui sembriamo stanchi di tutto, anche della nostra fede. Ci sono, è vero, tante cose che non vanno: la società, il lavoro, le famiglie – immagino quanti problemi all’interno delle nostre famiglie, i nostri ragazzi con tanti pericoli – C’è come un calo di tensione e ne siamo tutti contagiati, e questo clima che respiriamo ci sta facendo perdere il gusto di tutto, anche il gusto di vivere, anche il gusto di credere. Mi capita da vescovo di fare le cresime, soprattutto il sabato e la domenica, ed è triste vedere i festeggiati, già nel momento della festa, spenti. Mi è capitato qualche volta, nel momento stesso in cui faccio le cresime, di fermarmi e dire a quel ragazzo o a quella ragazza: “Ma sei contenta di fare la cresima?” Perché l’impressione che mi arriva è come dire, di un atto di presenza, sono qua, se proprio la devo fare, la faccio.
Gesù dice io sono pronto a portare il fuoco sulla terra, e lo dice non mentre tutti gli fanno l’applauso ma lo dice quando iniziano a dire che i Suoi stessi discepoli, la folla che lo circonda non è più in linea con Lui. Abbiamo ascoltato, domenica scorsa, Lui parlava di morte e due discepoli si avvicinano e dicono vogliamo sedere uno a destra e uno a sinistra, proprio un altro registro! E Gesù, la cosa che colpisce, è che non perde mai la speranza, non si lascia mai ferire, non si lascia mai condizionare da quello che c’è intorno a Lui; è convinto che il Padre abbia un progetto su di Lui, ha detto sì al Padre già al momento del battesimo, e da lì in avanti è andato sempre dritto per la Sua strada, per compiere la volontà del Padre, fino alla fine, fino a quando aveva le mani stese sulla croce “Padre nelle Tue mani consegno la mia vita”. Ecco, come cristiani ci volgiamo davvero senza dare colpe a nessuno, però credo che quello che il Signore ci chiede in questo momento a tutti, a noi sacerdoti, ai diaconi, agli operatori della pastorale, ai catechisti, ai ragazzi, è quello di essere più animati di entusiasmo. Mi colpisce sempre quella frase che c’è alla fine del credo, quando è posto in una forma dialogale, “Credete in Dio, credete nella Chiesa. Questa è la nostra fede, questa è la fede della Chiesa e noi ci gloriamo di professare”, cioè noi siamo contenti di professarla, ci piace professarla.
Ricordo che quando stavo in parrocchia e ci restavo male quando c’erano delle feste che capitavano durante la settimana, tipo l’Immacolata, i Santi, allora telefonavano in parrocchia e chiedevano “ma quella di sabato, quella di mercoledì è una festa di precetto?” e io dicevo sempre non è un precetto, non è un obbligo, semmai è la festa del piacere, ho il piacere di andare a messa.
Sono venuto a portare il fuoco, ricordiamoci questa frase. Quando ci muoviamo da casa per andare in chiesa, sia per una messa, sia per un momento di catechesi, o anche per un momento di festa, ricordiamoci che stiamo rispondendo a un fuoco che abbiamo dentro. Abbiamo sentito Paolo nella prima lettura dirci piego le ginocchia davanti a DIO, perché possiate riscoprire quanto è grande, quant’ è l’ampiezza, la profondità dell’amore di DIO per noi, quasi a dire provate a capire quanto è grande questo amore, immergetevi nell’amore. A volte diamo l’impressione di essere concentrati sui nostri problemi che ci sono per carità, non voglio minimizzare quello che ciascuno di noi vive perché a volte ci sono problemi che pesano, però Paolo dice sposta l’accento, pensa a quanto ti ama DIO. Noi oggi siamo qui tutti, a partire da chi vi parla, non perché siamo migliori di altri, ma siamo qui perché il Signore ci ha amati e ci ama infinitamente. Allora ci è capitato di sbagliare e il Signore ci ha acciuffati; ci è capitato magari di stancarci e il Signore ci ha dato coraggio; qualche volta abbiamo gettato la spugna e abbiamo detto “Signore basta, non ce la faccio più” e il Signore ha soffiato.
Noi siamo qui perché il Signore ci ama infinitamente e allora quello che possiamo fare come parrocchia, come comunità parrocchiale, come sacerdoti, come operatori pastorali, è vivere un po’ di più, raccontarlo a tutti. Guardate oggi c’è tanta gente senza speranza, davvero c’è tanta gente che non ce la fa più e basterebbe poco, basterebbe che qualcuno si avvicinasse e dicesse “Guarda che Dio ti ama, non sei solo”. La prima cosa che si pensa quando c’è un momento di difficoltà, anche psicologico, dobbiamo cercare uno psicologo, uno psicoterapeuta; mi perdoneranno i professionisti presenti, fanno bene questi percorsi, però da cristiani la prima cosa che dovremmo dire è “guarda che Dio ti ama” e non lo deve dire soltanto il sacerdote dal microfono, dall’ambone; tutti come cristiani abbiamo un fuoco dentro, la nostra fede è una questione di fuoco dentro. Se ce l’hai lo trasmetti, se non ce l’hai, hai delle nozioni, hai qualche idea in testa, hai qualche ricordo del catechismo – la trinità, l’incarnazione, l’eucarestia, i sacramenti, i doni dello Spirito Santo – nozioni! La fede è questione di passioni, e lo dicevano i grandi teologi: l’amore di Dio ci spinge al pensiero che uno è morto per tutti, allora se davvero sappiamo che uno è morto per tutti, dice Paolo, non possiamo non predicare il vangelo. Chi di noi, e lo chiedo davvero non per interrogarvi, davvero per stimolarci nella riflessione, chi di noi durante la giornata si accosta a qualcuno e gli dice, vedendolo spento e scoraggiato, “guarda che Dio ti ama, non ti preoccupare, c’è Dio, ci sono i Santi, ci sono i sacramenti, c’è la Chiesa, c’è il sacramento della confessione, della riconciliazione che è importante, non ti preoccupare”; “ma sai, è da tanto che non vado in chiesa, ho bestemmiato, i comandamenti li ho saltati tutti”; “non ti preoccupare, andiamo in chiesa, andiamo a metterci in ginocchio davanti al Santissimo”. Questo vuol dire ho un fuoco dentro, e Gesù lo dice quasi col desiderio di trasmetterci questa forza, di entusiasmo, come vorrei che questo fuoco fosse già acceso. Questa è una comunità, come tutte le comunità della nostra diocesi, chiamata non a gestire l’ordinario – catechismo, prima comunione, cresima – Questo non è un tempo ordinario, il Papa lo ha detto andando nell’ultimo viaggio nell’ Indonesia, a Timor Est. Ha riportato una frase di quel popolo, tempi difficili cristiani straordinari: questi sono tempi difficili, fratelli e sorelle, ed è bene che lo sappiate; sono tempi difficili, da ogni parte li guardi, sembrerebbe dire facciamo acqua da tutte le parti, la scuola per un verso, la Chiesa per un altro, la politica per un altro ancora, la società non ne parliamo. Tempi difficili non possono avere cristiani spenti, non possono avere cristiani che abbassano l’asticella; siccome i tempi sono difficili, io mi limito a fare il minimo indispensabile. Tempi difficili cristiani straordinari, cioè proprio perché viviamo questo tempo difficile, semmai l’asticella la dobbiamo alzare. Ripeto, non perché siamo bravi, ma perché siamo consapevoli che dentro questo tempo il Signore ha voluto noi, questo lo dobbiamo sapere; poteva metterci persone più brave, più intelligenti, più sante, tutto quello che volete. Per questo tempo ha scelto noi, questi sacerdoti, questi pastori, questi operatori pastorali, tempi difficili cristiani straordinari, cioè cristiani pieni di entusiasmo, pieni di gioia dentro, consapevoli dei loro limiti, ma anche desiderosi di portare il regno di DIO ovunque, ve lo auguro di cuore!
Vi ringrazio ancora per questa possibilità di conoscenza, soprattutto di condivisione dell’eucarestia. Ci affidiamo insieme al vostro, al nostro patrono San Tommaso, colui che, pur nella fatica di credere però ha pronunciato forse una delle più belle professioni di fede “Mio Signore, Mio Dio”. Mi arrendo, tu mi hai raggiunto “Mio Signore, Mio Dio”.
Gloria al Padre, al Figlio, allo Spirito Santo. Come era nel principio, ora e sempre nei secoli dei secoli. Amen.